Pittore autodidatta, Michele Ardito ha avuto al suo attivo
innumerevoli mostre personali e collettive in Italia e all'estero ed è stato
presente a diverse edizioni di Expo Arte di Bari. Ha partecipato sia come
organizzatore che come componente di giuria in varie manifestazioni culturali e
premi di pittura, poesia e narrativa ; ha diretto per un decennio la Galleria
Michelangelo di Bari e successivamente la Bottega d'Arte N. Carenza; infine, con
l'amico e collega Peppino Signorile, fondò e diresse la Scuola d'Arte G. De
Nittis di Bari.
Ha collaborato con riviste specializzate offrendo i suoi disegni e scritti
critici. Ha illustrato libri d'autore tra i quali La casa delle donne di Maria
Marcone e Naufragio dell'essere di Rossella Lovascio. Della Lovascio ha
illustrato i racconti pubblicati sul quotidiano Puglia e di Anna Sciacovelli il
volume Bari che scompare.
Della sua attività si sono interessati quotidiani e riviste specializzate tra
cui La Gazzetta del Mezzogiorno, Puglia, Il Messaggero, Il Mattino, La
Repubblica, Il Tempo, Pensiero ed Arte, Piazza Navona e Barintasca.
Hanno scritto di lui : Michele Calabrese, Michele Campione, Vito Caringella,
Michele Damiani, Gustavo Delgado, Pietro De Giosa, Anna D'Elia, Massimo
Grillandi, Luigi Guerricchio, Rossella Lovascio, Maria Marcone, Raffaele Nigro,
Giuseppe Schito, Giuseppe Signorile, Manlio Spadaro, Gino Spinelli, Lello
Spinelli, Enzo Varricchio, Marcello Venturoli, Donatella Vox.
"Che frastuono nei quadri di Michele Ardito, una fanfara di
colori, il premiato corpo bandistico dei tubetti e dei pennelli. Immagino il
pittore che strizza i contenitori come si fa col dentifricio nuovo, semina
vermiciattoli policromi e li spalma, li accarezza, li cosparge nel perimetro
delle melanzane, delle cipolle, dei peperoni, oppure sui volti appassiti delle
donne, su quelli combattivi dei contadini o dei briganti. Nomen est omen, il
nome è l'oggetto che rappresenta dicono i nominalisti. Nel senso che Ardito, un
uomo gioviale e allegro ma anche spontaneo e naif e che a vedersi pare scappato
da una tela di Xavier Bueno, è Ardito di nome e di fatto. Uno che sta bene nel
proprio studio a dipingere, ma altrettanto a suo agio si sarebbe trovato
centocinquant'anni orsono su un cavallo, col trombone o con un archibugio ad
armacollo.
E archibugi cavalli coltelli cappellacci erano fino a poche tele fa i suoi
fantasmi, quando la memoria storica e mitologica della Basilicata, dove Michele
è vissuto a lungo e dove non si fatica molto a scoprire che ha lasciato parte di
sè, quando quella memoria veniva ad infiammare la sua mano. E' che della propria
infanzia si resta prigionieri tutta la vita.
I racconti del vicolo sono venuti a riempire la fantasia di quest'uomo, sono
tornati a più riprese le leggende di Crocco, di Caruso, di Coppa e di Ninco
Nanco, in stuoli di cavalli e cavalieri, in storie di orchi e di megere, in
storie di occupazioni di terre e lotte per un riscatto comune, o in vicende più
quotidiane e meno epiche, la difficile quotidianità della miseria. Molta parte
della vita di Rocco Scotellaro, attraverso la mano greca e arcaica di Carlo Levi
si è riproposta nel crogiuolo illustrativo di Ardito, che ha rappresentato a più
riprese gli anni dell'indigenza e tuttavia della felicità giovanile. Si viveva
di niente e si cercava tutto, sembrano raccontarci donne dallo sguardo
malinconico e le gramaglie del lutto, inabili e invasati che hanno nei tratti e
negli occhi l'allucinazione di Ligabue, ma forse quel niente bastava.
Ci sono pittori urbani e pittori di campagna, uomini che rincorrono tutta la
vita in un habitat ideale. Ardito vive in pittura un luogo che non è mai
l'ambiente borghese nel quale si trova a soggiornare.
E' un pittore pre-urbano, innamorato delle colline e delle pianure, innamorato
dei calanchi, delle montagne. Questo amore è espresso attraverso una carica
violenta, fatta da toni accesi, di colori infuocati, vistosamente folgoranti,
sciabolate, fiamme, fondali torbidi come inchiostro. Ardito è un pittore
passionale, il suo è un eroismo cromatico, feroce come la sicilitudine di
Guttuso, come il furore infuocato di Sassu. Non c'è spazio per le penombre in
questi quadri c'è un manicheismo sanguigno e sanguinario, una ferma volontà di
dire pane al pane e di non ingannare.
Lentamente la Basilicata ha lasciato spazio ad altre realtà geografiche, ad
altri panorami. Sono venute le pianure pugliesi, i trulli, le campagne assolate,
le controre, le lagune venete. Eppure non c'è un territorio altro, piuttosto una
sorta di dilatazione dei confini lucani. La fine del mondo arcaico, la lenta
morte della natura e dei panorami preindustriali ha velato ogni cosa. Ora, i
luoghi si sono fatti luoghi di dentro, luoghi mentali. La bella campagna dove
l'artista ha potuto vivere i giochi adolescenziali, i vigneti dai pampini nuovi,
l'odore dell'erba tagliata, le cicale nel sole e le lucciole nel buio,
appartengono a una storia svanita e tutta da raccontare. Tra la mente di Michele
e le cose si è steso un velo che induce a un silenzio profondo, ma che non ha
stemperato i colori, la violenza dei toni.
Così, la passionalità di Ardito si è fatta angosciosa testimonianza della
perduta bellezza, della fine di un'età e di un mondo. Di fronte ai paesaggi
ultimi mi ricordo di un altro lucano, un poeta di Montemurro, Leonardo
Sinisgalli. Raffigurando la morte della sorella, trapassata in età tenerissima,
l'autore di Mosche in bottiglia, Il passero e il Lebbroso e Fiori pari e fiori
dispari immagina che la ragazza proceda muta sulla riva assolata di un fiume, i
polverosi fiumi lucani, nella luce dell'Acheronte, ma una luce così violenta da
abbagliare la mente e la vista." - Raffaele Nigro
"(...) Intanto, senza parlare di 'pugliesità', l'artista è
rimasto fedele al suo mondo che è largamente contadino quanto a classe e di
ispirazione umanistica, di personaggi della campagna, colti nella loro incidenza
con la vita (la sua infanzia in Lucania durante la guerra ne è l'antico avvìo,
una memoria che si deforma e si complica col vissuto di adulto, tanto che queste
scene all'addiaccio di famiglie sotto la paura delle incursioni aeree diventano
poi, per noi che le vediamo cogli occhi d'oggi, gruppi di fuggiaschi dal
terremoto, di profughi della miseria).
Mentre dunque si deve parlare della fedeltà al soggetto che traspare in tutti i
lavori di Ardito, possiamo in buona parte di questi festeggiare una vitalità
cromatica e segnica in chiave dichiaratamente espressionista: vagamente, per
l'empito drammatico del racconto, si può avvertire nella costruzione sommaria di
sanguigna pittura, sposata a saldi contorni neri, la lezione di Gino Rossi (dei
gouaches) e del primo Rouault, come in 'Figure della terra N.1', dal taglio
quasi quadrato, dove nelle pur basse gamme, è presente l'iride intera, in quel
felice contrappunto dii scuri e di luci vetrioleggiate in bianco d'argento, un
paesaggio di figure, uno sguardo fraterno dentro un'umanità sofferente, eppure
solida e legata insieme dall'imperativo della sopravvivenza.(...)" -
Marcello Venturoli
"(...) La ricerca di Michele Ardito rifugge dal messaggio sociale: ne respinge
la facile tentazione; i suoi valori si sintetizzano nella coerente
rappresentazione di una umanità intessuta di forza, di fierezza e di dolcezza;
ne sono testimonianza le donne di Basilicata, sublimate dalla figura della
'Madre della Montagna' nel suo duplice simbolismo: la donna e la montagna; la
prima colta nell'universale ed eterno significato della maternità, come cerchio
che apre ed alimenta la vita; la seconda come trionfo della natura anch'essa
madre di ogni creatura e di ogni germoglio.(...)" - Gustavo Delgado
"I cieli si aprono sulla montagna per illuminare i contorni e le
case antiche, sparse come baluardi, testimoni di storie passate, di grandi
attese, di illusioni profonde e di speranze abbarbicate a niente.
I cieli si aprono e la donna appare, immensa nella sua forza, col ventre
fecondo, simile alla terra che effonde germogli a primavera.
È la madre della montagna che si leva a manifestare la primigenia possanza che
fa della donna una leva per sollevare il mondo.
I tratti sono fermi, decisi, con quel tanto di scavato a significazione delle
mille rughe che il quotidiano porta con sé.
Le braccia stringono il figlio: un gesto eterno, protettivo, sublime. E in quel
cerchio delle braccia si racchiude l'umanità che si rinnova ad ogni istante per
la sopravvivenza della materia e dello spirito.
Per esprimere questo dettato, la composizione pittorica è incisiva: le linee
delimitano le masse espanse nel colore, in un moto teso verso il cielo che ha un
suo peso responsabile, attento, partecipe del tutto.
La madre della montagna racchiude in sé la trepidante vibrazione, la
rigenerazione che consacra, perché la maternità in ogni angolo della terra e
sotto qualsiasi latitudine, ha questa sacra funzione: sciogliere, sia pur con
dolore, la solitudine che attanaglia l'uomo.
M. Ardito, con questa grande tela, ha inteso rendere un tributo alla terra che
ama, la Lucania, devastata da sempre da immense sofferenze e tribolata dal
lavoro duro della campagna che molto spesso non ripaga le fatiche. Ma
soprattutto ha inteso fissare nella memoria il perenne discorso della vita che
dalla luce e dall'impasto del colore viene esaltata.
Infatti la madre della montagna sembra dominare lo spazio e i tempi, i sogni e
la realtà.
Ed è in questo la sua vera forza: in questo suo giganteggiare che supera non
solo l'orizzonte fisico, ma anche quello che delimita l'estremo confine
dell'essere." - Rossella Lovascio , Bari, gennaio 1984
Questa pagina è un mio
personale e gratuito omaggio alla memoria del pittore Michele Ardito, Maestro della pittura
in Bari. Le immagini dei
dipinti dell'artista presentate in questa pagina sono state
recuperate da cataloghi cartacei, così come pure i testi. Questo sito non è in
grado di dare informazioni in merito alle opere tantomeno di mediare alcuna
compra/vendita dei dipinti dell'artista.
Leonardo Basile