Nasce a Terlizzi (Bari) il 18 agosto 1892, da Lorenzo,
commerciante di pellame per calzature, e da Palmarosa, casalinga. Mostrò sin da
ragazzo spiccata propensione per il disegno e i colori e dopo la licenza media
tentò - invano - di ottenere una borsa di studio dagli enti locali che gli
consentisse di intraprendere gli studi artistici a Napoli. Nonostante il rifiuto
volle comunque seguire l'ardente vocazione e qualche tempo dopo (1910) partì per
Napoli e si iscrisse all'Istituto di Belle Arti, mantenendosi con un lavoro da
copista presso un notaio. Nel corso di figura e di paesaggio ebbe come
insegnante Michele Cammarano. Nel 1912, con il permesso degli insegnanti,
partecipò alla Promotrice Salvator Rosa col quadro "Memento", riscuotendo un
inaspettato e significativo riscontro di critica, cosa che lo stimolò a prendere
parte attivamente alla vita artistica italiana, esponendo in tutte le mostre
dell'epoca e organizzando a Napoli, nel 1922, la sua prima mostra personale con
trecento dipinti. E dopo... Londra, Parigi, Oslo, Stoccolma, in Baviera, in
Carinzia, Tokio, Caracas... Ma il sogno dovette infrangersi: Il fascismo al
potere si era trasformato in regime e aveva posto radici anche nel mondo
dell'arte: chi voleva lavorare doveva iscriversi al PNF e al sindacato fascista
degli artisti. Il nostro non accolse di buon grado l'imposizione: De Vanna era
contro tutto ciò che offende la dignità dell'uomo... e così iniziò il periodo
avverso, che durò molti e molti anni.
Nel 1953 si ritirò in un luogo solitario della costiera amalfitana, Atrani, a
lavorare e nell'estate organizzò una mostra personale ciclica, poi ripetuta ogni
anno. Erano, quelli, gli anni che De Vanna definì "della incompetenza e del
sopruso". Scriveva Michele Gargano: "Si scelse come posto di lotta Atrani, il
candido paese della costiera amalfitana sospeso fra la montagna e il mare". E lo
stesso De Vanna così ricordava il giorno della prima mostra estiva: "Il 4 agosto
1953 in Atrani, in questa perla incastrata tra i monti e il mare della fiabesca
contrada della costa amalfitana, sulla rampa del Platamone, in quell'epoca
deserta e solitaria, in un modesto locale dalle bianche pareti, odorose di
fresco bianco di calce, su cui erano state amorevolmente allineate 34 nostre
pitture, con l'intervento del sindaco pro-tempore, l'indimenticabile Gabriele di
Benedetto, accompagnato da uno sparuto gruppo di suoi amici, a cui si accodava
un altro esiguo gruppetto di curiosi locali, alle ore 11 precise, sotto un
torrido e incombente solleone, innanzi al muto e solenne testimone, lo storico
mare di queste leggendarie contrade, veniva inaugurata la nostra prima mostra
ciclica in Atrani e nel piccolo summenzionato locale, che noi da quel momento
denominammo col significativo nome de 'Il Romitaggio'". Nome che diede anche ad
un periodico con il quale ancor più lottava contro coloro che, per subdoli
interessi personali, attentavano alla cultura e in specie alle arti figurative,
una "casta chiusa di esperti in manovre organizzative e speculative", che ogni
artista subisce.
Si spense a Napoli il 9 novembre 1980.
Le sue opere figurano in gallerie pubbliche e private a Palermo, Napoli, Ravello,
Bari, Salerno, Reggio Calabria, Roma, ecc. e all'estero.
Dino Fienga, Domenico De Vanna, in Il Giornale del Mattino, novembre 1923
(...) "Le opere di De Vanna mi ricordano con robustezza il Cézanne... partito
dal desiderio di scoprire un momento della natura.... non è andato per la china
della disgregazione delle cose e delle persone in un'incosistente vibrazione
colorata, ma si è volto alla concretezza... un pò rassomigliante, che dà al
dipinto quella immediata freschezza propria degli impressionisti... che appaga
il desiderio e lascia adito al giovane artista di cercare altre vie per
risolvere problemi che forse dormono in fondo al suo spirito inquieto e
meditativo.
Non bisogna però immaginarsi il De Vanna come un facitore di teorie, al contrario. Egli ha un'unica preoccupazione: dipingere, dipingere, dipingere vivendo il soggetto, sviscerando, penetrando senza mai privarlo della freschezza e della spontaneità della prima impressione del particolare momento che ha eccitato la sua sensibilità. Qui è il nocciolo della sua arte, qui la differenza, qui la sua individualità. L'impressionista vede la natura quale è, vale a dire unicamente in vibrazioni colorate, - disse Laforgue nei suoi Melanges - ed è così che la natura è per gli occhi, un'orchestra di vibrazioni luminose; ma oltre agli occhi, gli altri sensi concorrono all'intendimento dell'opera d'arte ed essi reclamano il loro intervento se non si vuole lasciare in chi osserva un certo vuoto dopo il primo voluttuoso vellicamento delle giostre dei colori.
Questo ha ben compreso il De Vanna e perciò,più che a Monet, Sisley, Manet egli si accosta a Pissarro, Renoir, Cézanne, Degas, specie ai due ultimi di cui ha in corpo la sobrietà e la potenza d'interpretazione. Così in "Tristezza" (un angolo di parco con un vecchio pozzo, in un tramonto triste, con un cielo luminoso ed una figura che si delinea sullo sfondo), notevole per immediatezza di effetto pittorico e volume anatomico, donde parte un palpito potente di vita. E per afferrare un momento della vita e fermarlo sulla tela, nessuna tecnica più appropriata di quella del nostro: decise pennellate che si sovrappongono, si tagliano, piccoli tocchi che sembrano gli occhi del sentimento, notazioni rapide, tratti nervosi, chiazze forti e nette come corpi estranei conficcati nella tela nella foga della creazione e poi la luce... il gran mistero che egli sa fermare sulle sue tele e costringere a dar voce alla natura, a comunicare, l'anima delle cose che rivelano tutti i suoi paesaggi: "Il Vomero", "Soleggiata", "Novembre"... in cui piante, case, figure non sono secondo la solita ricetta, ma ma rivelano il paesista nato che sa ritornare alla natura, intenderne con spirito moderno il linguaggio, rivelarne la bellezza semplice e potente assieme, penetrare con l'anima sua l'anima della terra, del mare, delle rocce, delle nuvole, delle cose in una parola afferrare l'espressione passeggera, l'impalpabile spirito, l'atmosfera, come tutti i grandi maestri di questo genere di pittura, che è stata la forza pittorica del XIX secolo.
L'anima del paesaggio, ecco il punto, giacché purtroppo se il secolo XIX è stato
in pittura il secolo del paesaggio, il paesaggio è stato anche e continua ad
esserlo il calvario della moderna pittura, dal momento che tutti si credono
abili a stare all'aria aperta, senza pensare che disegnare quel che si vede non
è, poniamo, copiare un torso al museo... ma disegnare "quel che è" intendere la
realtà che ci si offre, sviscerarla, penetrarla: condizione indispensabile per
dare carattere al paesaggio, per rendere il carattere particolare del luogo,
della stagione, del momento, in una parola per rendere la natura capace,
attraverso la tela, di iniziare un colloquio con l'osservatore e riservare
nell'anima di lui pensiero, sentimento, stato.
Nè minore penetrazione rivelano le sue figure ed i suoi ritratti, a cominciare
da quel piccolo lavoro di analisi psicologica che è "Ultima prova", un
autoritratto che tra i numerosi a carbone, a pastello, ad olio, è senza dubbio
il più forte. Vi è in questa piccola tela, orribilmente rassomigliante, tutto il
carattere dell'uomo e del particolare momento psicologico: l'artista mentre è
per dare l'addio alla vita, se non precisamente fisica, certo pensante, mentre è
per sfuggirgli il dono grandioso e terribile di guardare per entro agli esseri e
alle cose e mostrarne l'anima.
Domenico De Vanna non è un rivoluzionario, ma un vivificatore selvaggio, il quale dipingendo alla maniera moderna, riesce a ricollegarsi agli antichi pur restando personale. La sua arte accoppia perciò in sé il carattere della modernità e nella tecnica e nell'espressione e la sodezza composta degli antichi."(...)
Matilde Serao, su "Il Giorno", scrive che "Il De Vanna si annuncia con un'originalità ed una possente personalità. Le sue pitture sono dense di un lirismo e di un affascinante senso nuovo del colore e della forma che avvolge un contenuto di profonda umanità".
T. Viola, corrispondente di 'La Revue du Vrai et du Beau',
10/11/1923 : "Ora classico, ora romantico, ora pittore di avanguardia, egli è
uno dei più accattivanti artisti che conosca.
A Napoli, Venezia, Milano, Firenze, Monaco, Parigi ha esposto delle opere di
differente carattere ma sempre stupende per intensità. (...) Paesaggi, ritratti,
composizioni ad olio, acquerello, guazzo, inchiostro di china, non importa il
soggetto o il procedimento tecnico per un artista così ricco di doni.
Lontano dalle manifestazioni accademiche e contrario ad ogni convenzionalismo
rappresentativo, egli cerca sempre di tradurre nelle sue opere la realtà delle
cose e delle persone.
Libero da ogni formula, sa che l'opera è tutto ciò che, in generale riesce a
fissare una particella di infinita verità. Considerando l'autoritratto degli
artisti dagli occhi fondi e osservatori, mi spiego il carattere forte ed
affascinante delle sue opere."(...)
Morro, da 'La Revue Moderne Illustrée', Parigi, 1923 : "(...) di una
straordinaria virtuosità tecnica che non si acquista facilmente con
l'insegnamento ufficiale. Di questo pittore ogni espressione è originale e
immediata e sembra attingere all'ispirazione stessa del momento. In ciò, credo,
sia la sua vera peculiarità.(...)"
Alfredo Schettini, in Cronache d'Arte de Il Corriere di
Napoli, 1966" : (....) negli anni Venti del ‘900 De Vanna era tra i
giovani pittori napoletani più colti ed evoluti, desiderosi di rinnovarsi, ma
non con idee rivoluzionarie che potessero offendere il passato, denegando o
fraintendendo la bella tradizione ottocentesca. Egli si prefisse di svolgere in
maniera organica e coerente la sua attività, con un progressivo perfezionamento
della tecnica espressiva che meglio ne articolasse gli sviluppi, armonizzandola
in un vasto arco di interessi culturali. Per lui, infatti, lo sviluppo
dell’espressione era, allora come oggi, il ponte che sostiene l’opera d’arte… Si
volge per solito ai soggetti familiari affettuosi, colti in ore confortevoli
d’intimità espressiva, onde la curva della sua malinconia si delinea senza
impedimenti d’indole cerebrale e problematica, trovando nei moti di tenerezza
contemplativa la sua ragione d’essere senza compromessi culturali. C’è dunque un
filone di continuità artistica in queste opere, individuabili per un sostanziale
denominatore pur attraverso la varietà dei mezzi rappresentativi, i quali si
estrinsecano a seconda delle sensazioni e dei temi suggeriti dall’immaginazione,
che poggia su valide esperienze formative. La pennellata larga, pastosa,
costruttiva è intrisa di luce. "
Dino Fienga, in Note d'Arte de Il Mattino, 1960 : "(...)
Pittore versatile, complesso, non melodico, con una tecnica leggera, sicura, una
naturale robustezza di colore che a volte fa ricordare Cézanne. De Vanna è un
solitario che accarezza la melanconia dei paesaggi vasti in cui è possibile
dimostrare sentimento, abilità e un sintetismo pittorico assai pieno e virtuoso.
Pittore di grande sensibilità, egli è rimasto un indipendente lontano dalle
manifestazioni accademiche; alieno da ogni convenzionalismo, ha cercato sempre
di tradurre nelle sue tele la realtà in quanto questa suscita nel suo spirito
emozioni e sentimenti."
Questa pagina è un mio personale e gratuito omaggio alla memoria di Domenico De Vanna, uno dei più grandi Maestri della pittura meridionale italiana del XX secolo. Le immagini dei dipinti del Maestro Domenico De Vanna presentate in questa pagina sono state recuperate da cataloghi cartacei, così come pure i testi. Questo sito non è in grado di dare informazioni in merito alle opere tantomeno di mediare alcuna compra/vendita dei dipinti del
De Vanna.
Leonardo Basile
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