Recensioni
Dino Fienga, Domenico De Vanna, in Il Giornale del Mattino, novembre 1923
(...) "Le opere di De Vanna mi ricordano con robustezza il Cézanne... partito
dal desiderio di scoprire un momento della natura.... non è andato per la china
della disgregazione delle cose e delle persone in un'incosistente vibrazione
colorata, ma si è volto alla concretezza... un pò rassomigliante, che dà al
dipinto quella immediata freschezza propria degli impressionisti... che appaga
il desiderio e lascia adito al giovane artista di cercare altre vie per
risolvere problemi che forse dormono in fondo al suo spirito inquieto e
meditativo.
Non bisogna però immaginarsi il De Vanna come un facitore di teorie, al
contrario. Egli ha un'unica preoccupazione: dipingere, dipingere, dipingere
vivendo il soggetto, sviscerando, penetrando senza mai privarlo della freschezza
e della spontaneità della prima impressione del particolare momento che ha
eccitato la sua sensibilità. Qui è il nocciolo della sua arte, qui la
differenza, qui la sua individualità. L'impressionista vede la natura quale è,
vale a dire unicamente in vibrazioni colorate, - disse Laforgue nei suoi
Melanges - ed è così che la natura è per gli occhi, un'orchestra di vibrazioni
luminose; ma oltre agli occhi, gli altri sensi concorrono all'intendimento
dell'opera d'arte ed essi reclamano il loro intervento se non si vuole lasciare
in chi osserva un certo vuoto dopo il primo voluttuoso vellicamento delle
giostre dei colori.
Questo ha ben compreso il De Vanna e perciò,più che a Monet, Sisley, Manet egli
si accosta a Pissarro, Renoir, Cézanne, Degas, specie ai due ultimi di cui ha in
corpo la sobrietà e la potenza d'interpretazione. Così in "Tristezza" (un angolo
di parco con un vecchio pozzo, in un tramonto triste, con un cielo luminoso ed
una figura che si delinea sullo sfondo), notevole per immediatezza di effetto
pittorico e volume anatomico, donde parte un palpito potente di vita. E per
afferrare un momento della vita e fermarlo sulla tela, nessuna tecnica più
appropriata di quella del nostro: decise pennellate che si sovrappongono, si
tagliano, piccoli tocchi che sembrano gli occhi del sentimento, notazioni
rapide, tratti nervosi, chiazze forti e nette come corpi estranei conficcati
nella tela nella foga della creazione e poi la luce... il gran mistero che egli
sa fermare sulle sue tele e costringere a dar voce alla natura, a comunicare,
l'anima delle cose che rivelano tutti i suoi paesaggi: "Il Vomero",
"Soleggiata", "Novembre"... in cui piante, case, figure non sono secondo la
solita ricetta, ma ma rivelano il paesista nato che sa ritornare alla natura,
intenderne con spirito moderno il linguaggio, rivelarne la bellezza semplice e
potente assieme, penetrare con l'anima sua l'anima della terra, del mare, delle
rocce, delle nuvole, delle cose in una parola afferrare l'espressione
passeggera, l'impalpabile spirito, l'atmosfera, come tutti i grandi maestri di
questo genere di pittura, che è stata la forza pittorica del XIX secolo.
L'anima del paesaggio, ecco il punto, giacché purtroppo se il secolo XIX è stato
in pittura il secolo del paesaggio, il paesaggio è stato anche e continua ad
esserlo il calvario della moderna pittura, dal momento che tutti si credono
abili a stare all'aria aperta, senza pensare che disegnare quel che si vede non
è, poniamo, copiare un torso al museo... ma disegnare "quel che è" intendere la
realtà che ci si offre, sviscerarla, penetrarla: condizione indispensabile per
dare carattere al paesaggio, per rendere il carattere particolare del luogo,
della stagione, del momento, in una parola per rendere la natura capace,
attraverso la tela, di iniziare un colloquio con l'osservatore e riservare
nell'anima di lui pensiero, sentimento, stato.
Nè minore penetrazione rivelano le sue figure ed i suoi ritratti, a cominciare
da quel piccolo lavoro di analisi psicologica che è "Ultima prova", un
autoritratto che tra i numerosi a carbone, a pastello, ad olio, è senza dubbio
il più forte. Vi è in questa piccola tela, orribilmente rassomigliante, tutto il
carattere dell'uomo e del particolare momento psicologico: l'artista mentre è
per dare l'addio alla vita, se non precisamente fisica, certo pensante, mentre è
per sfuggirgli il dono grandioso e terribile di guardare per entro agli esseri e
alle cose e mostrarne l'anima.
Domenico De Vanna non è un rivoluzionario, ma un vivificatore selvaggio, il
quale dipingendo alla maniera moderna, riesce a ricollegarsi agli antichi pur
restando personale. La sua arte accoppia perciò in sé il carattere della
modernità e nella tecnica e nell'espressione e la sodezza composta degli
antichi."(...)