Glitch

BUILDING presenta, dall’8 novembre 2023 al 27 gennaio 2024, la mostra collettiva Glitch, un progetto espositivo, a cura di Chiara Bertola e Davide Ferri, che espone una selezione di ventiquattro opere pittoriche di dieci artisti italiani e internazionali di generazioni diverse: Simon Callery, Angela de la Cruz, Peggy Franck, Pinot Gallizio, Mary Heilmann, Ilya & Emilia Kabakov, Andrea Kvas, Maria Morganti, Farid Rahimi, Alejandra Seeber.

Glitch

Dall’8 novembre 2023 al 27 gennaio 2024

 

Comunicato stampa

Talvolta accade che nel tessuto regolare e omogeneo della realtà si manifestino delle smagliature, come degli strappi superficiali che rivelano la presenza di una dimensione altra. La saturazione e il tutto pieno che caratterizzano la nostra esistenza improvvisamente si disgregano, lasciando il posto a spiragli da cui filtrano segnali di “un’energia dell’esistenza”, come suggerisce il filosofo François Jullien.

Qualcosa di simile si verifica in pittura, quando la precisa coincidenza tra immagine e supporto viene meno o quando la pura materialità di una pittura eccede, lasciando trapelare un’inedita vitalità. Improvvisamente, da questa disarticolazione qualcosa si fa strada agli occhi dello spettatore senza annunciarsi, qualcosa che pur potendo passare inosservato apre una breccia, una crepa che spalanca un’altra vista e un’altra tonalità del pensiero. L’attenzione va dunque a una pittura la cui verità non consiste nella rappresentazione e nella sua organicità, ma in un’idea di immagine pittorica che negozia con supporti e formati differenti, assecondandone la presenza oggettuale e le articolazioni materiali.

La mostra, che include indifferentemente lavori figurativi e astratti, rinvia dunque a un’idea di “mera pittura” – nel senso di “bassa”, “materiale” – che può giocare con l’espressione “vera pittura”, o con l’idea di verità in pittura che ha occupato da sempre le riflessioni sul medium.

Le suggestioni che ne derivano possono affondare le loro radici in alcune ricerche pittoriche della seconda metà del Novecento, quelle ad esempio di alcuni protagonisti dell’astrazione post-pittorica degli anni Sessanta e delle ricerche degli anni Settanta (Radical Painting, Pittura Pittura e Support Surfaces), nei termini di un diffuso desiderio di oggettività e conseguente sparizione della soggettività (cioè di sparizione dell’autore a favore della presenza dello spettatore), di riflessione del linguaggio attorno ai suoi elementi primari (formato, misura, supporto, colore, “un colore che non imbelletta”, come dice Maria Morganti), il cui esito è un oggetto pittorico che nega qualsiasi carattere narrativo, rappresentativo e illusionistico e afferma la sua presenza senza significare altro che se stesso.

Lungo il percorso della mostra, dunque, la pittura appare nella sua più mera essenzialità con la fecondità di un’incrinatura, di uno sfasamento, provocato dallo scardinamento di un’abitudine alla convenzionalità della visione. Viene generato così uno scarto che rimette in moto una sorta di vitalità energetica al suo livello primordiale, quotidiano - nel senso del ritmo e delle tracce diarie del tempo - e artigianale - il piacere del fare a mano.

Se dunque la consuetudine non ha mai portato la pratica artistica molto lontano, allora cercare un inciampo nella rappresentazione diventa una condizione necessaria per spingere l’arte verso una dimensione di vitalità. Una smagliatura all’interno del sistema saturo e compatto del tutto noto e prevedibile può dunque rivelarsi uno spazio fertile di libertà, in cui la vita può scorrere, spaziare, completarsi e rinnovarsi.


La mostra dunque include:

Opere che rinviano a questa idea di pittura bassa, materiale, attraverso il richiamo a pratiche artigianali e industriali, attraverso l’incontro, quando non proprio il collasso, tra una dimensione specificatamente pittorica e queste pratiche, come nel caso della “pittura industriale” di Pinot Gallizio (Alba, 1902 – 1964).

Opere di artisti la cui pratica pittorica si definisce attraverso una gestualità impersonale, non autoriale, come nel caso di Simon Callery (Londra, 1960), che insegue un’idea di sublime contaminando la materialità del dipinto con il paesaggio, per via di una prossemica e un contatto prolungato; o quella di Ilya (Dnepropetrovsk, 1933-2023) & Emilia (Dnepropetrovsk, 1945) Kabakov in cui la coppia di artisti riflette sul concetto di autore inventando un artista immaginario che dialoga con la storia dell’arte. In mostra l’opera Charles Rosenthal, Im park 1930 diventa un coinvolgente commento sull'oggettività e la soggettività nell'espressione artistica della luce, invitando lo spettatore a interrogarsi sulla distinzione tra luce dipinta, luce reale e, cosa fondamentale nell'opera dei Kabakov, sull'immaginazione dell'artista.

Opere in cui la pittura riesce a trasformarsi in un organismo mobile tra le pieghe di spazi oscuri, dentro le quali smarrire il senso della visione fissa e frontale e accedere a uno spazio indeterminato, anonimo e totalmente immersivo, come nei lavori di Peggy Franck (Zevenaar, 1978). O in quelli di Angela de la Cruz (A Coruña, 1965), dove gli elementi costitutivi del quadro (tela e telaio) sembrano non riuscire a contenere l’eccesso di materialità della pittura e diventano organismi tridimensionali, instabili nel loro riconfigurarsi come agglomerati di pieghe, rigonfiamenti ed eccedenze.

Opere come sfondo, o come paesaggio dello spettatore, dove lo spettatore entra dentro un set e dove l’opera diventa luogo per accogliere le cose che possono accadere. Per esempio i lavori di Alejandra Seeber (Buenos Aires, 1969) fanno emergere una visione instabile che non riesce mai a definirsi come unica, macchiando le sue tele per offrire all’immagine un’altra possibilità di reagire, spaesarsi e moltiplicarsi.

Opere come quadri dove le immagini coinvolgono tutte le loro articolazioni materiali – un supporto, un telaio, un bordo e perfino un rovescio. I lavori di Andrea Kvas (Trieste, 1986) sono dipinti che non vanno interpretati come spazi coerenti e organici di rappresentazione, ma dispositivi in cui tutte le articolazioni materiali contribuiscono a formare l’immagine.
Opere che possono costituire un invito a ridefinire il nostro modo di guardare alla composizione astratta, come nel caso di Mary Heilmann (San Francisco, 1940), che approccia il dipinto non diversamente da come dipinge la superficie della ceramica, con una postura in grado di eludere i limiti e le inibizioni che derivano dalla tela bianca.

Opere che riconfigurano lo spazio rifrangendolo, come i lavori di Farid Rahimi (Losanna, 1974), che da anni dipinge un angolo di stanza, o lieve depressione, e lo varia compulsivamente facendolo oscillare tra plausibile rappresentazione di un ambiente e sua astrazione.

Opere che si scompongono e ricompongono infinite volte, come nel caso di Maria Morganti (Milano, 1965), aggiungendo e togliendo qualcosa ad uno scenario più ampio che si rinnova ad ogni passaggio, nel quale è rimasta la traccia e la memoria del proprio fragile quotidiano e del tempo trascorso.



Glitch
a cura di Chiara Bertola e Davide Ferri
Simon Callery, Angela de la Cruz, Peggy Franck, Pinot Gallizio, Mary Heilmann, Ilya & Emilia Kabakov, Andrea Kvas, Maria Morganti, Farid Rahimi, Alejandra Seeber

dall’8 novembre 2023 al 27 gennaio 2024
press preview: martedì 7 novembre 2023, ore 11

BUILDING
via Monte di Pietà 23, 20121 Milano
martedì - sabato, 10 - 19


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Simon Callery (Londra, 1960) si è formato presso la Campion School di Atene, il Berkshire College of Art and Design e la Cardiff School of Art and Design (1983). Il suo linguaggio visivo è stato influenzato dalla terminologia e dalla pratica degli scavi archeologici. I dipinti recenti dell’artista pongono l'accento sulla materialità dell’opera e sono realizzati a diretto contatto con le superfici dure dell'ambiente urbano o del paesaggio. Le tele vengono segnate, tagliate e forate, imbevute di tempere altamente sature e cucite insieme per formare spazi interni e vuoti.
Dagli anni Novanta Callery ha esposto i suoi lavori in importanti rassegne nel Regno Unito e all’estero, tra le quali: Young British Artists III, Saatchi Gallery, Londra (1994); Sensation, Royal Academy of Arts, Londra, Hamburger Bahnhof, Berlino e Brooklyn Museum, New York (1997); About Vision. New British Painting in the 1990’s, Museum of Modern Art, Oxford. Tra le recenti mostre personali si ricordano: Contact Painting, Centro de Arte, Caja de Burgos (2023); Simon Callery, Rafael Perez Hernando Gallery, Madrid (2021); Simon Callery, Unosunove, Roma (2019). L’artista ha inoltre partecipato a diverse mostre collettive, tra le quali: Inauguration, Lo Brutto Stahl, Parigi (2023). Roma, A Portrait, Palazzo delle Esposizioni, Roma (2023); Space as a Care of Duty, Studio G7, Bologna (2023); Stone, Sand & Cloth, Simon Callery, Susana Solano, Francisco de Zurbarán, Monasterio Santa Maria de Bujedo de Juarros. Burgos (2022). Le sue opere sono esposte in importanti collezioni tra cui: Fearnley Museum of Modern Art, Oslo; British Museum, Londra; Centre National des Artes Plastiques, Parigi; Tate, Londra.

Angela de la Cruz (A Coruña, 1965) vive e lavora a Londra. Ha studiato Filosofia presso l’Università di Santiago di Compostela, Spagna (1987), prima di trasferirsi a Londra, dove ha conseguito il Bachelor of Arts in Fine Arts presso il Goldsmiths College (1994) e il Master of Arts in Sculpture and Critical Theory presso la Slade School of Fine Art (1996).
Tra le mostre personali, si ricordano: Krinzinger Gallery, Vienna (2023); Helga de Alvear Gallery, Madrid (2022); Gallerie Thomas Schulte, Berlino (2019); Museo Cabañas, Guadalajara, Messico (2021); CGAC, Santiago de Compostela (2019); Lisson Gallery, Londra (2018); Azkuna Zentroa, Bilbao, (2018); Peer, Londra, (2016); Wetterling Gallery, Stoccolma (2016); Fundacion Luis Seoane, A Coruña (2015); Carreras Mugica, Bilbao (2014); Wetterling Gallery, Stoccolma (2013); Camden Arts Centre, Londra (2010); Centro Andaluz de Arte Contemporáneo, Siviglia (2005); Museo de Arte Contemporanea de Vigo and Annex Space MARCO, Spagna (2004). Nel 2010 l’artista è stata nominata per il Turner Prize e ha ricevuto il Paul Hamlyn Award nel Regno Unito. Nel 2017 ha ricevuto il Premio Nacional de Artes Plásticas in Spagna. Nel 2021 ha ricevuto il Sunny Dupree
Family Award for a Woman Artist per il suo lavoro esposto alla Summer Exhibition della Royal Academy di Londra e nel 2022 è stata nominata per il David and Yuko Juda Foundation Grant.
Peggy Franck (Zevenaar, 1978), vive e lavora ad Amsterdam. L’artista è nota per le sue ricerche spaziali che combinano fotografia, pittura e installazioni site-specific. Le caratteristiche pennellate di Franck rappresentano il risultato finale di un processo più lungo e meno visibile, perché queste funzionano come gesti e visualizzazioni del mondo interiore dell'artista, disponendosi sulla carta, sul legno, sugli oggetti e sui muri, dando l'impressione di essere vive, in costante dialogo e movimento. Le sue opere sono state esposte a: Arcade, Londra; Frans Hals Museum, Haarlem; FOAM, Amsterdam; Stigter Van Doesburg, Amsterdam; OUTPOST, Norwich; Künstlerhaus Bethaniën, Berlino; Westfälischer Kunstverein, Monaco; Raum für zeitgenössische Fotografie, Coalmine, Winterthur; Manifesta Foundation, Amsterdam; Middlemarch, Brussels; Crawford Art Gallery, Cork; Photographers Gallery, Londra; (SIC), Bruxelles; Dorothea Schlüter, Amburgo. Franck ha inoltre partecipato alle residenze d’artista presso il Rijksakademie di Amsterdam e la Künstlerhaus Bethaniën di Berlino.

Pinot Gallizio (Alba, 1902 – 1964) frequenta il collegio San Giuseppe di Torino e si laurea in chimica nel 1925. Dopo aver preso parte, durate la Seconda guerra mondiale, alla Resistenza partigiana come membro del CLN Langhe, incontra Piero Simondo e con lui nasce l’interesse per l’arte. Nel 1955 conosce Asger Jorn ad Albisola e fonda ad Alba il “Primo Laboratorio Sperimentale per una Bauhaus Immaginista”. Nel 1956 si tiene ad Alba il Primo Congresso Mondiale degli artisti liberi organizzato da Gallizio insieme a Jorn: vi partecipano, tra gli altri, Ettore Sottsass, Piero Simondo, Enrico Baj, Constant, Gil Wolman ed Elena Verrone. Nel 1957 a Cosio d’Arroscia, partecipa alla fondazione dell’Internazionale Situazionista con Guy Debord, Michèle Bernstein, Asger Jorn, Constant, Walter Olmo, Piero Simondo, Elena Verrone, Rulph Rumney. Nel 1958 avvia la sua carriera da artista a tempo pieno con la produzione della pittura industriale, che espone a Torino nello stesso anno alla Galleria Notizie: 12 metri di pittura a olio su tela, 14 metri di pittura a resina su tela, 70 metri di pittura su telina, realizzati con il figlio Giors Melanotte. Espone successivamente a Milano e Monaco di Baviera e nell’aprile del 1959 da René Drouin a Parigi, ove realizza l’installazione della Caverna dell’antimateria. Nel 1964 viene invitato da Maurizio Calvesi alla Biennale di Venezia. Muore ad Alba nel febbraio dello stesso anno. Numerosissime le partecipazioni a mostre personali e collettive mei principali musei del mondo. Sue opere sono nelle principali collezioni private e pubbliche fra cui: Centre Pompidou, Parigi; Tate Gallery, Londra; Stedelijk Museum, Amsterdam; National Galerie, Berlino; Centre d’Art Contemporain di Ginevra; Museo Reina Sofia, Madrid; Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino; Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma; Museo d’Arte Moderna, Bologna.

Mary Heilmann (San Francisco, 1940) vive e lavora a New York. Ha conseguito il diploma presso l'Università della California, Santa Barbara (1962), e un master presso l'Università della California, Berkeley (1967). Per ogni opera di Heilmann - dipinti astratti, ceramiche e mobili - c'è una storia. Impregnati di memorie, storie tessute dalla sua immaginazione e riferimenti alla musica, di influenze estetiche e di sogni, i suoi dipinti sono come meditazioni o icone. Le sue composizioni sono spesso ambienti spaziali ibridi che si configurano o nella giustapposizione di rendering bidimensionali e tridimensionali in un unico fotogramma o nell’unione di diverse tele che compongono nuove opere o ancora nella creazione di dittici dipinti e di fotografie sotto forma di stampe, slideshow e video. Lo sguardo attento di Heilmann per la geometria e il colore si estende ai suoi tavoli e alle sue sedie fatti a mano, che mette in scena in composizioni intime e interventi di ampio respiro. Heilmann ha ricevuto l’Anonymous Was a Woman Foundation Award (2006) e borse di studio dalla National Endowment for the Arts e dalla Guggenheim Foundation. Ha esposto in diverse istituzioni, tra le quali: Whitechapel Gallery, Londra, (2016); Whitney Museum of American Art, New York (2015); Kunst Museum Bonn, Bonn, (2013); New Museum of Contemporary Art, New York (2008) e Orange County Museum of Art, Newport Beach (2007). Nel giugno 2022 Primary Information ha pubblicato un’edizione fac-simile del suo celebre memoir The All Night Movie (1999).

Ilya (Dnepropetrovsk, 1933-2023) & Emilia (Dnepropetrovsk, 1945) Kabakov sono nati in Ucraina, nell’ex URSS. Ilya Kabakov ha studiato all'Istituto d'Arte V.I. Surikov di Mosca e ha iniziato la sua carriera come illustratore di libri per bambini negli anni Cinquanta. Nel 1987 gli viene offerta una borsa di studio al Kunstverein di Graz, in Austria, e successivamente si stabilisce a New York.
Emilia Lekach Kabakov si è formata come pianista classica presso il Music College di Irkutsk e ha studiato letteratura spagnola all’Università di Mosca, emigrando nel 1973 in Israele e, due anni più tardi, a New York - dove trova lavoro come curatrice e mercante d'arte.
Ilya ed Emilia hanno collaborato nella loro casa di Long Island dal 1989 fino alla morte di Ilya nel 2023. I due artisti sono noti soprattutto per le loro pionieristiche "installazioni totali", che immergono completamente lo spettatore in un ambiente drammatico e costruito. Queste installazioni, insieme a dipinti e opere su carta, sono influenzate dal loro comune passato in Unione Sovietica, ma anche da temi universali come la memoria personale o collettiva, la fantasia e l'illusione. Spesso popolate da personaggi immaginari, le loro opere si ispirano all'idealizzazione ottimistica della cultura visiva del realismo socialista.
I primi lavori dei Kabakov sono stati esibiti in diverse istituzioni, tra le quali: Stedelijk Museum, Amsterdam (1990); The Museum of Modern Art, New York (1991); Los Angeles County Museum of Art (1992); Museum für Moderne Kunst, Francoforte (1995); Centre Pompidou, Paris (1996). Hanno inoltre rappresentato la Russia alla Biennale di Venezia del 1993 con l’installazione The Red Pavilion. Mostre personali delle loro opere si sono tenute presso: Dallas Contemporary (2021); Kunsthalle Rostock, Germania (2018); Kistefos Museum Sculpture Park, Oslo (2017); Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington, D.C. (2017); Power Station of Art, Shanghai (2015); Sprengel Museum, Hanover (2014).

Andrea Kvas (Trieste, 1986) vive e lavora a Milano. Il suo lavoro fonde un approccio giocoso e istintivo alla pittura con un’analisi e riconsiderazione dei codici che contraddistinguono questa disciplina. La sua ricerca pittorica richiede diversi schemi di fruizione che l'hanno portato a trovare diverse intersezioni con pratiche scultoree, relazionali e curatoriali.
Tra le recenti mostre personali si ricordano: SPAZIALE!, Thomas Brambilla, Bergamo (2022); Blac Ilid, Fondazione Smart, Roma (2020); Coppiette, Gelateria Sogni di Ghiaccio, Bologna (2020); Staring Contest, ErmesErmes, Vienna (2015); Boy with bucket, Chert, Berlino, (2013); Campo, Museo Marino Marini, Firenze (2012). A queste si aggiunge la partecipazione a diverse mostre collettive, tra cui: Pittura Italiana Oggi, Triennale, Milano (2023); #80#90, Villa Medici, Roma (2019); SUperHost, Like a little disaster + PaneProject, Polignano (2019); Supervulcanos, Tarsia, Napoli (2019); That's IT!, MAMbo, Bologna (2018). Tra i progetti speciali: Project Room #3, Archivio Atelier Pharaildis Van den Broeck, Milano (2019); Lo spavento della terra, Clima Gallery, Milano (2018).

Maria Morganti (Milano, 1965), vive e lavora a Venezia. È un'artista che ha messo al centro della propria pratica l'esperienza del colore inteso come materia e traccia dell'esistenza. Le sue opere sono sedimentazioni di tempo che portano in sé il senso di una continua trasformazione. Ciò che si genera nella solitudine dello studio attraverso un andamento fluido, quotidiano, viene successivamente accolto e conservato all’interno di un preciso sistema di archiviazione e messo successivamente in relazione con altre realtà nel tentativo di innescare un contatto tra la propria interiorità e lo spazio esterno condiviso. Tra le mostre personali, si ricordano: Il Sostituto: lo studio itinerante, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino (2019); Giardini squisiti con Massimo Kaufmann, Casa Testori, Novate Milanese, Milano (2014); L’unità di misura è il colore, Museo di Castelvecchio, Verona (2010); Diario cromatico, Fondazione Querini Stampalia, Venezia (2008). Ha partecipato inoltre a numerose mostre collettive e istituzioni tra cui: Io dico Io, GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma (2021); L’emozione dei colori nell’arte, GAM/Castello di Rivoli, Torino, (2017); Èdra, tutta l’Italia è silenziosa, Accademia Reale di Spagna, Roma (2015); Autoritratti, Iscrizioni del femminile nell’arte italiana contemporanea, MAMbo, Bologna (2013).

Farid Rahimi (Losanna, 1974) vive tra Milano e Roma. Attraverso l’utilizzo di differenti media, dal video alla pittura, dal disegno alla fotografia, la sua ricerca esprime un costante interesse verso il paesaggio come luogo mentale di sperimentazione. Il tentativo di compiere esperimenti, così come la sensazione di sospensione durante la contemplazione di un’immagine, sono elementi che spesso ritornano in quadri, disegni, video e suoni. Ogni singola opera, infatti, potrebbe essere il tentativo di mettere a fuoco un paesaggio, di fissarne un dettaglio: naturale, urbano, emotivo.
Rahimi ha esposto in mostre personali alla Galleria Zero nel 2006 e alla Galleria Fabio Tiboni nel 2009. Ha inoltre partecipato a diverse mostre collettive in Italia e all’estero come: Quadri come luoghi, Palazzo Adorni, Capriolo (Brescia) (2023); Breath/Respiro, Vicenza (2010); FUORICLASSE, GAM - Galleria d’Arte Moderna, Milano (2012); Emerging Talents - New Italian Art, Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze (2009); L’evento immobile. Incantamenti, Gavoi (2008); Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno (2008).

Alejandra Seeber (Buenos Aires, 1969) vive a New York dal 1999. Ha frequentato a Buenos Aires la Pridiliano Pueyrredon School of Fine Arts e la residenza per artisti Beca Kuitica Studio Program, per poi frequentare nel 2000 la Skowhegan School of Painting and Sculpture (Maine). La pittura di Seeber è frutto di un approccio “dialogico” al medium, dove interagiscono in egual misura le intenzioni dell’artista e l’intervento del caso. La ricerca dell’artista è il risultato delle influenze che hanno attraversato la sua personale esperienza di vita, dal mondo dell’alternative rock e del lavoro di backstage nei concerti, fino ai primi esperimenti di programmazione digitale e graphic design della scena underground di Buenos Aires. La ricerca di Seeber si concentra sullo spazio, sia dal punto di vista architettonico che decorativo, enfatizzando i piccoli dettagli che vengono dispersi su tutta la superficie pittorica ed espandendo la relazione tra interno ed esterno. L’artista ha esposto internazionalmente in mostre personali e collettive, tra cui: Thyssen Museum, Madrid (2017); Bronx Museum of the Arts, New York (2016); Mercosul Biennial, Brasile (2009); Kunst Museum, San Gallo (2010); Museum of Modern Art, Buenos Aires (2010). Inoltre, ha tenuto mostre personali in gallerie come: Sperone Westwater New York; Hausler Contemporary in Germania, Svizzera e Austria. Il suo lavoro, inoltre, è presente in diverse collezioni, tra cui: Collection Diana and Moises Berezdivin, Puerto Rico; Zabludowicz Collection, Londra; Rolf Ricke Collection, Germania; Staaliche Graphische Sammlung, Monaco; Museum of Modern Art, Buenos Aires.

 

Chiara Bertola (Torino, 1961) vive e lavora a Venezia. È curatrice del progetto di arte contemporanea “Conservare il futuro” alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia dal 1999 a oggi è stata. Ideatrice e curatrice del Premio FURLA per giovani artisti italiani dal 2000 al 2015. È stata direttrice artistica, dal 2009 al 2012, dell’Hangar Bicocca di Milano, dove ha ideato e curato il progetto sperimentale Terre Vulnerabili-a growing exhibition, una mostra annuale in 4 tappe di crescita (2010-11). Dal 1996 a 1998 è stata Presidente della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia. È stata tra i curatori fondatori del Progetto Ars Aevi per la costituzione del Nuovo Museo di Arte Contemporanea di Sarajevo. È stata curatrice del “Padiglione Venezia” della Biennale Internazionale d’Arte di Venezia (2007) e della XV Quadriennale di Roma (2008).
Ha curato diverse mostre personali e collettive in Italia e all’estero tra cui quelle di Roman Opalka (Milano e Venezia, 2019), Mariateresa Sartori (Venezia, 2019), Paolo Icaro (Venezia, 2018), Giovanni Anselmo (Venezia, 2017), Elisabetta Di Maggio (Venezia, 2017), Jimmie Durham (Venezia, 2015), Haris Epaminonda (Venezia, 2014), Qiu Zhijie (Venezia, 2013), Christian Boltansky (Milano, 2011), Hans Peter Feldmann (Milano, 2012), Ilya&Emilia Kabakov (Palermo, 1989, Venezia, 2003, Milano, 2012), Michelangelo Pistoletto (Livigno, 2013, Venezia, 2000), Marisa Merz (Venezia, 2011), Mona Hatoum (Venezia, 2009, Sao Paolo, 2014, Buenos Aires, 2015), Remo Salvadori (Venezia, 2006), Kiki Smith (Venezia, 2005), Giulio Paolini (Venezia, 2001), Lothar Baumgarten (Venezia, 2001), Joseph Kosuth (Venezia, 2000). Ha pubblicato monografie e cataloghi dedicati agli artisti contemporanei. Ha pubblicato con Mondadori/Electa il libro Curare l'arte (settembre 2008); con Bruno editore, Conservare il futuro, 25 anni di arte contemporanea alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia; Camminando nelle cure dell’arte, (in pubblicazione).

Davide Ferri (Forlì, 1974) vive a Roma. È critico d’arte e curatore indipendente. È docente di Museografia nelle Accademie di Belle Arti di Macerata e di Bologna. Dal 2019 è curatore della sezione “Pittura XXI” all’interno di Arte Fiera, Bologna. Collabora stabilmente come curatore con Palazzo De’ Toschi - Banca di Bologna e con la Fondazione Coppola di Vicenza. Dal 2012 è curatore della sezione arte del Festival teatrale Ipercorpo.
Ha curato diverse mostre e progetti in gallerie e musei d'arte contemporanea, tra i quali: Quadri come luoghi, mostra in cinque sedi realizzata in occasione di Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura, 2023; Bettina Buck, Finding Form, Palazzo De’ Toschi, Bologna, 2023; Italo Zuffi, Fronte e retro (con Lorenzo Balbi), Museo MAMbo e Palazzo De’ Toschi, Bologna, 2022; Markus Schinwald – Misfits, Fondazione Coppola, Vicenza, 2020; Le realtà ordinarie, Palazzo De’ Toschi, Bologna, 2020; Neo Rauch - Rosa Loy, La Torre, Fondazione Coppola, Vicenza, 2019; Solo figura e sfondo / Courtesy Emilia Romagna, Arte Fiera, Bologna, 2019; Afro. Pensieri nella mano, Musei San Domenico di Forlì, 2015; Tutta l’Italia è silenziosa, Villa Massimo - Accademia Tedesca, Accademia Reale di Spagna, Ambasciata del Brasile, Istituto Polacco, Centro Russo di scienza e cultura, Roma, 2015; Franco Guerzoni – Nessun luogo, da nessuna parte. Viaggi randagi con Luigi Ghirri, Triennale di Milano, 2014; La figurazione inevitabile. Una scena della pittura oggi, Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato, 2013; Sentimiento Nuevo (con Antonio Grulli), Museo MAMbo, Bologna, 2011.




Opere in mostra