Joan Fontcuberta - Cultura di polvere


Mostra a cura di Francesca Fabiani dal 24 gennaio al 10 marzo 2024 presso il Museo Fortuny di Venezia, che presenta dodici light box realizzate dall'artista.

Joan Fontcuberta - Cultura di polvere

24 gennaio – 10 marzo 2024


Comunicato stampa

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere inaugura la stagione espositiva al Museo Fortuny di Venezia, ospitando dal 24 gennaio al 10 marzo 2024 le dodici light box realizzate da Joan Fontcuberta: esito del dialogo dell'artista catalano con le straordinarie collezioni storiche dell’ICCD di Roma, Istituto nato a fine Ottocento come Gabinetto Fotografico per documentare il patrimonio culturale con fini di tutela e catalogazione. Una mostra che, riproposta a Venezia, a Palazzo Fortuny, rievoca non solo la comune nazionalità tra l’artista e il “padrone di casa” ma, soprattutto, il profondo legame di questo luogo con la fotografia, dalle sperimentazioni di Mariano Fortuny y Madrazo al suo ricchissimo archivio qui custodito, poi centro d’avanguardia della fotografia negli anni Settanta e Ottanta.
Tra le manifestazioni più importanti legate al Museo Fortuny non si può non ricordare Venezia '79. La Fotografia, nata dalla collaborazione tra International Center of Photography di New York, UNESCO e Comune di Venezia. Un evento mediatico senza eguali, unico in Europa per genere e dimensioni, con venticinque mostre in città, seminari, conferenze, laboratori e workshop, che aveva come centro dell’attività formativa Palazzo Fortuny. A questo appuntamento epocale prende parte anche Joan Fontcuberta che, appena ventiquattrenne, è tra i protagonisti della mostra Fotografia europea contemporanea ai Magazzini del Sale, curata da Sue Davis, Jean-Claude Lemagny, Alan Porter e Daniela Palazzoli.
L’esposizione al Museo Fortuny riporta così l’eco di un sentimento che si aggiunge al lavoro dell’artista come uno strato di storia e di memoria.

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere è nato nell’ambito del programma ICCD Artisti in residenza a cura di Francesca Fabiani, in cui Fontcuberta ha scelto di operare su alcune lastre fotografiche deteriorate provenienti dal Fondo Chigi, punto di partenza per una serie di sperimentazioni visive e linguistiche. Rampollo di una delle casate nobiliari più ricche e potenti della storia, il principe Francesco Chigi Albani della Rovere (1881-1953), naturalista e fotografo amatoriale, nel corso delle sue sperimentazioni approda spesso a soluzioni sorprendenti che ben dialogano con l’intelligenza provocatoria e ironica di Fontcuberta. Un incontro di personalità che dalla polvere d’archivio - evocata dal titolo che rimanda alla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 Élevage de poussière - ha prodotto nuove opere in una prospettiva contemporanea.
Attraverso un procedimento di tipo surrealista che consiste nel prelievo/appropriazione di elementi già dati - in questo caso un frammento della lastra - Fontcuberta ha compiuto il suo atto creativo, restituendo immagini quasi astratte eppure reali; paesaggi poco plausibili, assolutamente non manipolati, che appaiono nel display delle light box. I materiali su cui ha lavorato l’artista, se da un lato perdono memoria, dall’altro acquisiscono nuova fisionomia attraverso i tanti segni che il passare del tempo vi ha lasciato: graffi, lacune e, talvolta, batteri e funghi proliferati grazie all’ambiente chimicamente accogliente dell’emulsione di gelatina ai sali d’argento. Nuovi paesaggi che si sommano al soggetto originario della fotografia, visibile in controluce.

La mostra è promossa dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia.
Il progetto è vincitore del PAC2021 - Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Le opere in mostra sono entrate a far parte delle collezioni di fotografia contemporanea dell’ICCD e sono presentate nell’omonimo libro d’artista Joan Fontcuberta. Cultura di polvere, edito da Danilo Montanari Editore con testi di Francesca Fabiani, David Campany e Joan Fontcuberta e con la grafica di TomoTomo.

L’incontro con la stampa si terrà martedì 23 gennaio 2024 dalle 10.00 alle 14.00, mentre l’inaugurazione avverrà dalle 15.00 alle 21.00 alla presenza di Joan Fontcuberta, della curatrice e del direttore ICCD.


Joan Fontcuberta (Barcellona, 1955) è tra le figure più autorevoli nel panorama della fotografia contemporanea. Artista, docente, saggista, curatore e scrittore, ha dato avvio alla sua multidisciplinare carriera negli anni ’70 affiancando alla ricerca artistica i diversi impegni in ambito didattico, teorico e curatoriale.
Da sempre pone al centro della propria indagine la presunta veridicità della fotografia, l’ambiguità tra vero e falso, il tema dell’autorialità e dell’autorevolezza, il potere affabulatorio delle immagini e la loro proliferazione, con un approccio critico e sperimentale e con un’attenzione particolare al tema dell’archivio. L’archivio fotografico come massimo esempio di concentrazione e accumulazione di immagini, ma anche come deposito di materiale, carta, negativi, lastre, album, possibile di nuove riletture (e manipolazioni).

Numerosi i volumi pubblicati, fra cui: Il bacio di Giuda. Fotografia e verità (1997); La (foto)camera di Pandora. La fotografi@ dopo la fotografia (2010); La furia delle immagini. Note sulla postfotografia (2016); Contro Barthes. Saggio visivo sull'indice (2023). Ha realizzato mostre personali al MoMA di New York, all’Art Institute di Chicago, alla MEP di Parigi, allo IVAM di Valencia, al London Science Museum, al Museum Angewandte Kunst di Francoforte per citarne alcuni. Le sue opere sono presenti nelle collezioni del Metropolitan Museum di New York, del MoMA di San Francisco, del Museum of Fine Arts di Houston, della National Gallery of Art di Ottawa, del Folkwang Museum di Essen, del Centre Pompidou di Parigi, dello Stedelijk Museum di Amsterdam. In Italia ha realizzato il progetto di arte pubblica Curiosa Meravigliosa per il Palazzo dei Musei di Reggio Emilia (2022). Promotore e fondatore di numerose iniziative fotografiche, nel 1979 ha curato la Conferenza Catalana di Fotografia e nel 1982 ha co-fondato la Primavera fotografica di Barcellona. Nel 1996 è stato direttore artistico del festival Les Rencontres de la Photographie d’Arles e nel 2015 curatore del Mois de la Photo a Montréal.
Molti i riconoscimenti tra cui: Medaglia David Octavious Hill dalla Fotografisches Akademie GDL in Germania, 1988; Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres in Francia, 1994; premio UK Year of Photography and Electronic Image Grant Award dall'Arts Council of Great Britain, 1997; Premio Nazionale della Cultura della Generalitat de Catalunya nel 2011, Premio Hasselblad nel 2013; Dottorato Honoris Causa alla Sorbonne Université nel 2022.

Da oltre 30 anni attiva nel mondo della promozione culturale, soprattutto in ambito fotografico, è oggi coordinatrice dell’Area Fotografia e curatrice dei progetti di fotografia contemporanea dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la documentazione a Roma. È stata responsabile per la fotografia al MAXXI, avviando la costituzione delle collezioni e curando la programmazione del museo sulla fotografia. Dal 1989 ha curato e/o organizzato mostre presso istituzioni come il MAXXI, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, la Biennale di Venezia, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Cà Pesaro a Venezia, il Festival di Spoleto, il CIVA di Bruxelles, l’Istituto italiano di Cultura di Parigi, l’Accademia di Francia a Roma-Villa Medici, l’Istituto Moreira Salles di Sao Paulo e Rio de Janeiro, il Centro Culturale Recoleta di Buenos Aires, il Centro RossPhoto a San Pietroburgo, il MMAM di Mosca, l’IIC di Los Angeles. Ha curato numerose pubblicazioni e ha fatto parte di giurie e comitati tra cui Photo London; Prix Carmignac a Parigi; Prix Pictet, London; Visible White Photo Prize; Premio Fondazione Fotografia, Modena; Premio Internazionale Gabriele Basilico, Milano. È invitata come lettrice di portfolio in festival come Les Rencontres de la Photographie d’Arles o il SiFEST a Savignano. Insegna a Fondazione Modena Arti Visive ed è membro del Consiglio Direttivo della SISF_Società Italiana per lo Studio della Fotografia.

La mostra “Joan Fontcuberta. Cultura di polvere” ospitata al Museo Fortuny è resa possibile grazie alla collaborazione tra la Fondazione Musei Civici di Venezia e l’ICCD - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma, avviata nel 2021 attraverso la formula “ICCD OFF SITE” per la promozione di progetti di fotografia contemporanea.

«Posso vedere il materiale fotografico più degradato che avete in collezione?».
Questa è stata la prima (imbarazzante) richiesta di Joan Fontcuberta appena arrivato in ICCD come artista residente. Per un’istituzione che dalla fine dell’Ottocento produce, acquisisce e conserva fotografie, non è il massimo fare uscire gli scheletri dall’armadio e consegnarli nelle mani di uno dei più seguiti e geniali affabulatori della fotografia contemporanea. Ma tant’è. Come si dice, capita anche nelle migliori famiglie. In questo caso nelle migliori istituzioni, che a volte si trovano ad accogliere e gestire fotografie così rovinate da risultare inservibili. Almeno fino a quando non arriva qualcuno che con questo materiale imbarazzante innesca un’operazione densa di significati.
Il programma “ICCD artisti in residenza” nasce proprio con questo scopo e vede ogni anno la partecipazione di un fotografo chiamato a dialogare con le straordinarie collezioni storiche dell’Istituto, nato a Roma nel 1895 come Gabinetto Fotografico per documentare il patrimonio culturale con fini di tutela e catalogazione (da cui il nome). Grazie a questa attività e all’acquisizione di altri importanti archivi e collezioni, l’ICCD vanta oggi una delle più consistenti raccolte di fotografia storica in Italia.

Invitare Fontcuberta ha significato assumersi il rischio di mettere in crisi le certezze acquisite. Tutto il suo lavoro ha a che fare con la messa in discussione delle tante (false) convinzioni attorno alla fotografia. Sul concetto di autorialità, sul suo essere un’attestazione di verità, oppure sulla sua immortalità, che è proprio il tema di questo lavoro.
La scelta di Fontcuberta di operare su oggetti deteriorati nasce dal desiderio di verificare quanto incidano sullo status della fotografia il venir meno della sua integrità materiale e la sua deperibilità. «Questo lavoro analizza l’agonia della fotografia. Il suo deterioramento materiale genera una fotografia paradossalmente “amnesica”, senza più memoria. La presunta immortalità della fotografia pertanto si è rivelata falsa», ci spiegava Fontcuberta mentre osservava affascinato alcuni negativi agonizzanti del Fondo Chigi, conservato in ICCD.
Questi materiali amnesici, se da un lato perdono memoria, dall’altro acquisiscono nuova fisionomia attraverso i tanti segni che il passare del tempo vi ha lasciato: graffi, lacune e, soprattutto, batteri e funghi proliferati grazie all’ambiente chimicamente accogliente dell’emulsione di gelatina ai sali d’argento. Nuovi paesaggi che si sommano al soggetto originario della fotografia, visibile in controluce.
Attraverso un’operazione di “semplice” selezione di un frammento della lastra, Fontcuberta compie il suo atto creativo, restituendo immagini quasi astratte eppure reali; paesaggi poco plausibili, eppure assolutamente non manipolati, presentati attraverso il display delle lightbox.
Commenta il critico David Campany nel libro che accompagna il lavoro: «L’astrazione non è mai davvero astratta, specialmente quando ha a che fare con la fotografia. È un invito a un ipotetico significato, ma è anche una questione di distanza: avvicinatevi, e non troverete nulla di astratto. Ciò che cresce su queste lastre di vetro è una forma organica, complessa tanto quanto le montagne, i laghi, gli animali e le foreste raffigurate nell’emulsione fotografica».

Come quasi sempre accade nella pratica artistica di Fontcuberta, il lavoro utilizza un procedimento di tipo surrealista che consiste nel prelievo/appropriazione di elementi già dati: «Non intervengo sull’immagine, attuo una disciplina oggettivista, di tipo surrealista; un incontro fortunato con l’oggetto».
In questo caso, oltre alle colonie batteriche, un altro “agente” inconsapevole ha partecipato alla creazione dell’opera di Fontcuberta: il principe Francesco Chigi Albani della Rovere (1881-1953), autore delle fotografie originali.
Rampollo di una delle casate nobiliari più ricche e potenti della storia che ha dato i natali a banchieri, mecenati, cardinali, santi e Papi, dal punto di vista fotografico Francesco Chigi rientra appieno nella categoria dei dilettanti, o amateurs, come all’epoca venivano definiti i fortunati che potevano permettersi di fotografare per puro piacere e non per necessità di guadagno. L’aspetto più interessante è però dato dalla curiosità del Principe per la fotografia di per sé, come strumento di visione del mondo. Il suo intento non fu mai quello di realizzare solo belle immagini da guardare quanto piuttosto di guardare oggetti e fenomeni attraverso la macchina fotografica. L’inclinazione alla sperimentazione approda in certi casi a esiti molto divertenti, come testimoniano alcune lastre presenti in archivio, che anticipano di qualche lustro le acrobazie virtuali di Photoshop.
C’è in questa attitudine una giocosa libertà che ben dialoga con l’intelligenza ludica e provocatoria, l’audacia linguistica e artistica di Joan Fontcuberta.
E così, a distanza di oltre un secolo, grazie a questa “adozione”, ecco che le fotografie di Chigi, proprio le più reiette e inservibili, tornano a parlarci, resuscitando dalla polvere.

Cultura di polvere, appunto. Il titolo, che in un primo momento doveva essere “Coltura di polvere”, si rifà alla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 “Élevage de poussière”.
«Possiamo capire perché Fontcuberta ami questa storia di polvere e possiamo vedere le analogie con il suo progetto», afferma Campany. «A quanto pare, fotografare le opere del Principe non è ripugnante, per lui, né offensivo per la sua dignità di artista. Anzi, Fontcuberta ha costruito una carriera di grande successo immergendosi in molte pratiche e materiali "poco dignitosi" della fotografia. Immagini vernacolari. Falsi. Social media. Fontcuberta non è interessato tanto all’arte alta quanto alla fotografia come insieme complesso di attività che plasmano e mediano la cultura e ci forniscono gli strumenti per comprendere e fraintendere il mondo. Non c’è molto spazio per la dignità, qui. Fontcuberta è per certi versi una figura baudelairiana, con la sua convinzione che una società si riveli non tanto per quel che reputa elevato e nobile, ma per ciò che butta via, che considera "basso" ed eliminabile, che consegna alla discarica».

Favorire il dialogo tra gli artisti e la fotografia storica rappresenta dunque una delle più fruttuose modalità per risvegliare gli immensi depositi di immagini contenute negli archivi. Consegnare a un artista come Fontcuberta il ruolo dello spectator e, al contempo, quello di operator (cioè sia di fruitore che di produttore di immagini), significa ampliare le possibilità di lettura e aggiungere nuovi contenuti al patrimonio sedimentato, ricollocandolo nella contemporaneità con nuovi significati.
Il portato di queste re-significazioni investe diversi ambiti e genera nuove consapevolezze (o forse procura nuove incertezze). Sia di tipo teorico (sullo status della fotografia) che pratico, suggerendo cambi di prospettiva anche in chi quotidianamente gestisce questi patrimoni. Per esempio, fare pace con l’idea che le fotografie, anche se oggetto di scrupolose pratiche conservative, non sono immortali o che, anche quando ormai ridotte in polvere, possono essere messe in gioco su fronti di sperimentazione artistica, linguistica, scientifica, culturale.

Francesca Fabiani, curatrice



Joan Fontcuberta. Cultura di polvere - Trauma #3191, light box 100x150 cm, stampa INK JET su pellicola Backlight montata su plexiglass 3mm in scatola di legno nero (profilo 3 x 7 cm), 2022 - © ICCD Roma
Joan Fontcuberta. Cultura di polvere - Trauma #1838, light box 100x150 cm, stampa INK JET su pellicola Backlight montata su plexiglass 3mm in scatola di legno nero (profilo 3 x 7 cm), 2022 - © ICCD Roma
Joan Fontcuberta. Cultura di polvere - Trauma #3227, light box 100x150 cm, stampa INK JET su pellicola Backlight montata su plexiglass 3mm in scatola di legno nero (profilo 3 x 7 cm), 2022 - © ICCD Roma