Tre percorsi di
ricerca che si snodano su 5 mostre per un totale di 228 fotografie,
attraverso un vivace confronto tra i linguaggi contemporanei e la
grande tradizione della fotografia veneziana.
Tre proposte espositive differenti fra loro che cercano
d’interpretare l’essenza della fotografia di oggi in una logica che
si muove verso il superamento dei generi e la trasversalità.
Non si cerchi quindi di trovare un rigido filo conduttore, se non
quello dell’originalità e dell’apertura verso nuove esperienze e
tendenze, nella prospettiva, fortemente voluta dal direttore
artistico Denis Curti, di valorizzare le eccellenze territoriali.
Come monadi distinte, universi paralleli dotati di significato e di
stile autonomi, le tre mostre del 2016 sono proiettate pur sempre
verso uno sfondo comune, che diviene anche soggetto di alcune delle
immagini esposte: Venezia, cui La Gondola, Polillo e Obici rimandano
costantemente, perché con questa città si confrontano e dialogano.
Al pianterreno della Casa il programma espositivo del Circolo
Fotografico La Gondola si articolerà in tre sezioni.
Lo specchio di Alice, ispirandosi al titolo del racconto di Lewis
Carroll “Attraverso lo specchio”, intende trattare con 39 immagini
un aspetto della fotografia contemporanea assai dibattuto: il
disaccordo tra la presunta realtà rappresentata e l'autonomia di
significato che la medesima assume per il solo fatto di essere stata
traslata in una fotografia.
Sin da quando è stata -per così dire- esonerata dall'obbligo di
“certificare” la realtà, sostituita dai nuovi media d'informazione
più coinvolgenti e immediati, l’immagine fotografica ha manifestato
il suo potere, quasi magico, di “oltrepassare” se stessa, come nello
specchio di Alice, e di introdurre chi guarda in un mondo in cui
tutto assume una dimensione allusiva, incerta e aperta su svariati
orizzonti.
Le immagini esposte non hanno certo l’intento di sedurre, ma
piuttosto di costringere lo sguardo e la mente a un gioco
ermeneutico, in cui lo spettatore tenta di scovare -
nell'oggettività rappresentata - il possibile inganno, le ipotesi
alternative a cui non si può dare risposta.
Espongono i soci de La Gondola: Lisa Andreani, Andrea Avezzù,
Antonio Baldi, Maurizio Braiato, Aldo Brandolisio, Ilaria
Brandolisio, Fabrizio Brugnaro, Lorenzo Bullo, Nicola Bustreo, Dario
Caputo, Paola Casanova, Carlo Chiapponi, Maria Teresa Crisigiovanni,
Francesco Del Negro, Gianfranco Giantin, Matteo Miotto, Stefano
Pandiani, David Salvadori, Giorgio Semenzato, Massimo Stefanutti,
Maurizio Trifilidis, Fabrizio Uliana, Izabella Vegh, Giovanni Vio,
Emilio Zangiacomi Pompanin, Anna Zemella.
La Gondola presenta, inoltre, NeroSuBianco, a cura di Manfredo Manfroi: un compendio, ridotto ma significativo (28 immagini) delle
tendenze espressive in cui si riconobbe, nel secondo dopoguerra, la
fotografia italiana nel decennio 1950-1960.
Le immagini sono fortemente rappresentative dei due principali
orientamenti dell’epoca: l’uno, teorizzato da Giuseppe Cavalli,
intellettuale di formazione cattolica e crociana, tentava di rifarsi
alla nostra tradizione figurativa, alle atmosfere pittoriche del
primo Quattrocento: un “high key” sofisticato che suggerisse
attraverso bassi contrasti la solarità e il languore mediterraneo
del nostro Paese; l’altro, che ha trovato un notevole interprete in
Paolo Monti, sviluppava un confronto con il percorso della Subjective Fotografie del dott. Otto Steinert, optando per una
fotografia dai toni bassi, un “low key” di ascendenza quasi
espressionista e in tal senso opposta alla visione di Cavalli.
In mostra le celebri fotografie di Sergio Del Pero, Mario Giacomelli,
Paolo Monti, Fulvio Roiter, ma anche di Gino Bolognini, Gian Pietro
Cadamuro Morgante, Libero Dell'Agnese, Stanislao Farri, Ferruccio
Ferroni, Nino Fornasiero, Federico Gasparotto, Riccardo Gasparotto,
Piero Gioppo, Carlo Mantovani, Laura Martinelli, Gustavo Millozzi,
Vittorio Piergiovanni, Ezio Quiresi, Luciano Regini, Bruno Rosso,
Giancarlo Sala, Luciano Scattola, Carlo Trois.
Infine, una stanza è dedicata alle vincitrici della lettura
portfolio Sguardi Femminili del 2015. Francesca Cesari con il lavoro
In the room riproduce la dimensione appartata e silenziosa del luogo
in cui una madre addormenta il bambino attraverso l’allattamento al
seno, col progressivo ammorbidirsi del corpo e l’abbandono di ogni
resistenza, gioco e ostinazione.
Monia Perissinotto propone un percorso emozionale con Istanbul,
rappresentata come "colei che indaga il [suo] essere straniera".
Caterina Burlini con Flora elabora un progetto fotografico ampio,
tutt'ora in corso, in cui la natura e la figura femminile si
fondono, fino a diventare l'una parte dell'altra.
Nei saloni del piano nobile, la mostra
Visions of Venice, curata da
Alessandro Luigi Perna: 75 immagini di Venezia (dal piccolo al
grande formato) realizzate da Roberto Polillo nell'ambito di un
progetto personale pluriennale dedicato alla città, che a sua volta
costituisce il primo capitolo del più ampio "Impressions of the
World", un lavoro fotografico che tenta di cogliere il Genius Loci
di vari paesi del mondo.
Polillo sembra usare la macchina fotografica- grazie alla tecnica di
ripresa ICM, Intentional Camera Movement - come fosse un pennello:
tempi molto lunghi e movimenti di ripresa sempre diversi -
verticali, orizzontali, circolari, obliqui, lenti o bruschi - fanno
delle sue fotografie affascinanti rappresentazioni pittoriche della
realtà. Le “immagini-acquarello” sembrano così ritrarre una Venezia
eterna, luogo dell’anima, che pare essersi fermata, come una
pellicola, a registrare il transito ininterrotto di mercanti,
viaggiatori, letterati e artisti.
Come un alfabeto o un codice matematico Visions of Venice si
presenta come una sequenza dove la brillantezza cromatica e la
luminosità catturano lo sguardo di chi guarda, dove la celerità
dello scatto fotografico cede il posto alla fluidità e al movimento
delicato.
A ispirare Polillo sono grandi i pittori viaggiatori dell'Ottocento
(in particolare gli orientalisti) e artisti quali Delacroix,
Matisse, Renoir, Van Gogh, Turner, De Chirico.
Servendosi della fotografia per esprimere emozioni, l’autore non
aspira a raccontare o descrivere Venezia, ma a esplorarla nelle sue
variazioni, in differenti momenti della giornata e nelle diverse
stagioni dell'anno, carica di colori e umori mutevoli. Come fosse in
grado di delineare la vasta gamma dei sentimenti umani attraverso le
sue luci, le sue ombre, è luminosa e solare, cupa e misteriosa,
gotica e avventurosa oppure malinconica, desolata, a volte persino
disperata.
La mostra è accompagnata da un volume, edito da Skira, in edizione
bilingue italiano e inglese, che presenta circa 120 immagini, oltre
a una selezione di citazioni su Venezia tratte dalle opere di alcuni
dei più grandi scrittori italiani e internazionali.
Al secondo piano la mostra di Giulio Obici, Il flâneur detective, a
cura di Renato Corsini. Per oltre quarant’anni editorialista e
inviato speciale, Obici ha seguito le grandi inchieste sul
terrorismo, da Piazza Fontana al delitto Moro, indagando
parallelamente i grandi eventi giudiziari.
Il flâneur detective – dal titolo della serie di racconti pubblicata
postuma, nel 2015 da Marsilio Editori- riflette il senso
dell’osservazione e dell’indagine proprio di Obici. Nella celebre
descrizione offerta da Walter Benjamin il flâneur è colui che
attraversa le città per perdervisi, conoscerle, penetrarle
dall’interno (Parigi, capitale del XIX secolo: i passages di
Parigi). Un flâneur detective che cerca, indaga, coglie e narra i
“fatti”.
In mostra 68 immagini, tra le quali 50 fotografie inedite, tutte
risalenti a un archivio che è venuto formandosi nel corso degli
ultimi anni grazie al lavoro del curatore Renato Corsini e di sua
figlia Olivia.
Ne è così emerso una sorta di diario dell’Italia, raccontata
attraverso particolari angolazioni di cartelloni pubblicitari,
tabelloni elettorali inutilizzati e arrugginiti, vetrine, vie,
luoghi-nonluoghi modificati dagli usi, dalle réclames, dalla
commercializzazione di tutto. Una via di Milano
con al centro una lattina di coca cola rovesciata da cui fuoriesce
la schiuma nera della bevanda che impregna l’asfalto. In lontananza
uomini, colti di spalle, lasciano la scena (la strada) alla lattina
e al suo contenuto, segno tangibile di un rovesciamento del rapporto
tra soggetto e oggetto: perché è l’oggetto il soggetto di queste
foto, dove l’uomo diviene oggetto tra gli altri oggetti.
Analogamente irrompe come protagonista la vetrina di una boutique:
gambe di manichini femminili sospese su una pila di giacche. Dai
riflessi del vetro s’intravedono volti: una donna, passanti, un uomo
che si specchia, tutti ombre-comparse semi-nascoste, esiliate,
spazzate vie.
Forte è la percezione della consapevolezza di un senso di decadenza
e di mediocrità, di degrado e omologazione verso cui si avviava
l’Italia, come l’intuizione di scomparsa ulteriormente dilatata e
amplificata dal bianco e nero. Obici del resto fotografava
esclusivamente in bianco e nero, con le Leica M, stampando da sé le
proprie foto.
Come ha scritto Gianni Berengo Gardin, “le fotografie di Obici
lasciano un segno e diventano momento storicizzante”. Ciò che
sorprende non è (soltanto) la rappresentazione di questo vuoto e di
questa mancanza, ma - come ha sottolineato Franco Loi-
l‘intelligenza degli accostamenti, che forniscono approfondimenti e
correlazioni di pensiero dalla sola configurazione degli spazi.
Italo Calvino nelle sue memorabili Città invisibili ha descritto le
città individuandone nessi e connessioni con alcune categorie/filoni
come il desiderio, la memoria, il cielo. Senza dubbio le immagini di
Obici rientrerebbero a buon diritto nella categoria de “Le città e i
segni”, perché in ogni scatto le scritte sui muri, i manifesti, gli
scorci di case o mare, le macchine, sono simboli e coordinate
interpretative di una storia: la storia italiana dagli anni ’80 agli
anni 2000. Non a caso nessuna immagine ha un titolo. Riporta luogo e
anno.
Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto
quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre
credi di visitar[la] non fai che registrare i nomi con cui definisce
se stessa e tutte le sue parti –Italo Calvino, Le città invisibili.
La Fondazione di Venezia, negli anni ha acquisito vari archivi e
fondi fotografici per dedicarli alla fruizione e in generale alla
diffusione della cultura fotografica in Italia, e in particolare a
Venezia dove ha aperto al pubblico la Casa dei Tre Oci. Ai Tre Oci
la fotografia ha trovato la propria casa con mostre, workshop,
seminari, laboratori, convegni, e importanti esposizioni
monografiche dei grandi maestri della scena internazionale.
Il progetto Tre Oci è sviluppato in collaborazione con Civita Tre
Venezie e con il sostegno di Veneto Banca e Grafica Veneta.
Web info
www.treoci.org
Vernice stampa
venerdì 22 gennaio 2016
dalle 11.00 alle 15.00
Inaugurazione
venerdì 22 gennaio 2016
dalle 18.00 alle 21.00
Ufficio Stampa
Casa dei Tre Oci
Giovanna Ambrosano
ambrosano@civitatrevenezie.it
tel. 041/2725912
mob. 338/4546387
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