Amerigo
Bartoli Natinguerra (Terni, 24 dicembre 1890 – Roma, 20 dicembre
1971) è stato un noto pittore e scrittore italiano.
A sedici anni si trasferì a Roma per studiare all'Accademia di Belle
Arti divenendo allievo di Giulio Aristide Sartorio nonché
collaboratore nella realizzazione di affreschi decorativi di diverse
ville e palazzi romani, nonché di alcune sale del Palazzo del Quirinale.
Prese così attivamente parte alla vita artistica della capitale e
nel 1916 partecipò alla Quarta Esposizione Internazionale d'Arte
della Secessione Romana, iniziando a pubblicare alcuni disegni sulla
rivista L'Eroica.
Nel 1920 divide lo studio con Giorgio de Chirico; l'anno
successivo espose alla I Biennale di Roma, affermandosi come uno
degli artisti più noti ed apprezzati.
Le porte dei principali salotti letterari gli si aprirono dandogli
la possibilità di conoscere e frequentare Ardengo Soffici, Emilio
Cecchi, Giuseppe Ungaretti e di Vincenzo Cardarelli.
Nel 1937, eseguì interessanti dipinti murali nella sala del
ping-pong di Villa Saffi, a Forlì. Insegnò all'Accademia d'arte per
ventuno anni dal 1939 fino al 1960 formando più generazioni di
artisti (da Accatino a Ceroli, da Avanessian a
Pino Pascali). Dal successivo dopoguerra pubblicò
periodicamente strisce satiriche per il settimanale Il Mondo,
insieme a piccoli volumi di storie, aforismi e disegni. Nel corso
degli anni ha collaborato anche a La Tribuna, La Lettura, La
Gazzetta del Popolo, Quadrivio, Omnibus, La Fiera Letteraria.
Ebbe a scrivere Renato Civello: "Non è difficile supporre per
Amerigo Bartoli una dimensione atemporale. Tale convincimento riposa
su una fisionomia artistica che non ha nulla a che vedere con le
irritazioni aberranti, gli atteggiamenti istrioneschi, le fallaci
fanfare che caratterizzano la figurazione contemporanea. Bartoli ha
costruito con la propria arte una duplice requisitoria: di natura
etico -sociale, incardinata sui magistrali disegni che irridono e
compatiscono, smitizzano e assolvono, e di natura propriamente
estetica, espressa dagli oli sensibilissimi, riluttanti ad ogni
anarchismo velleitario e ancor più a quella medietà sterile ed
esangue che oscilla fra le bellurie di un vieto naturalismo e il
tentativo di una trasposizione memoriale. Se dovessimo indicare un
argine alla corruzione del gusto - che poi si tratti di parossismo
raziocinante o di ingenua neofilia non importa - sceglieremmo
senz'altro una testimonianza come quella di Bartoli: testimonianza
sempre apertas, di alto respiro, legalitaria nei mezzi linguistici e
nei risultati di poesia. Anche perchè pochi pittori saprebbero
essere così coerenti, così cordialmente legati alle matrici ideali
della ispirazione, senza per questo esaurire il processo
vivificatore di un 'farsi' perenne dello spirito.
Molta acqua è passata sotto i ponti da quando l'impressionismo, con
una rivoluzione insieme creativa ed ottica, la più importante forse
dell'intera storia del linguaggio figurativo, umiliò l'accademismo
classicheggiante: tendenze d'ogni genere hanno consacrato feticci di
un giorno o di qualche decennio, codificando sulla cenere.
Ma Bartoli è rimasto fedele agli impulsi più generosi, riducendo le
complesse prospettive di una cultura di stile europeo nell'alveo di
una pressante italianità. Come dire che il parametro classificatore,
di fronte al flusso delle esperienze e alla gerarchia dei valori, è
stato per lui il suo stesso temperamento; sicuro e singolare,
tributario solo di sé. Gli umori della celebre terza saletta del
Caffè Aragno, che egli frequentò con Cardarelli e Soffici, con
Ungaretti e Bacchelli e Francalancia (un'avanguardia che dissacrò i
fantasmi stereotipi del tardo romanticismo), non contraddissero alla
individualità della sua opera, ma si avvertirono in essa come nuovo
lievito umano, destinato a combattere per tutto l'arco di crescita
il disamore e le labili avventure del Novecento.
Dipinga un nudo nei boschi o una passeggiata di educande, uno
scorcio di Saint-Tropez o del Vittoriano, il giardino dello studio
di via Pinciana o dei grandi alberi sulla Salaria, un interno con
figure o dei fiori, la presenza dell'uomo è piena, ma anche
risentita e vibrante, bel oltre la cronistoria delle apparenze, a
filo di intuizione corale. Rifiutandosi di accogliere il concetto
edonistico dell'arte, tutto ciò che il pittore contempla rientra in
una categoria non provvisoria della coscienza, si fa imperativo
morale; eppure una delicata magia lascia intatto il rapimento
emozionale. Una cupola acquartierata su una verde cortina, una
siepe, una soffice radura, fli elementi di una domestica musica in
sordina - sedia gatto uovo cocomero fiasco cartoccio - convogliano i
filoni del realismo fino alla sospensione allusiva. Allora le
immagini mute si riempiono di voci, rendono all'occhio lo stupore
delle cose sognate; e il sogno, nel minuto sfrangersi del pigmento,
nelle castigate cadenze del colore, è infinitamente più vero
dell'occasione empirica. [...]" 1970
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Ultimo
aggiornamento:
24-10-22
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