Presentazione
a cura di Alberto Neppi dell'opera di Gaetano
Martinez in occasione della mostra "Sculture e
disegni di Gaetano Martinez - Dal 1932 al 1950" tenutasi
presso la Galleria del Secolo (via Veneto, Roma) dal
13 al 25 maggio del 1950. La retrospettiva fu patrocinata da
Leonardo Azzarita, Domenico Cantatore, Sandra
De Feo, Virgilio Guzzi, Federico Hermanin,
Francesco Maratea, Alfredo Petrucci e Cesare
Giulio Viola.
"Pugliesi furono, nella
storia della grande arte italiana, Nicola, detto Pisano,
e Nicolò dell'Arca. E a quella medesima progenie,
così ricca d'ingegni e di lieviti vitali, appartiene anche
Gaetano Martinez.
Denso e complesso, vario e articolato si presenta il mondo
spirituale di questo plastico autodidatta, pervenuto, dopo
decenni di sforzi e di faticose conquiste interiori, a
quell'equilibrio stabile fra intuizione fantastica e forma
realizzata che consente allo stile una sua piena e duratura
validità.
Fin dagli esordi, ingenuamente abbarbicati alle tipologie
del clima paesano di Galatina (LE) ed in cui egli mostrava
di seguire, con spontaneo impulso sentimentale, le orme del
genius loci figurativo (il pittore intimista
Gioacchino Toma), questo piccolo e inquieto intagliatore
di pietre, rivelatosi artista, manifestava un'adesione sua
propria al nucleo umano del soggetto, riversando su di esso,
specie nelle sembianze di bimbi e adolescenti del popolo,
un'onda di malinconia e tenerezza rassegnata, che aveva
inconsapevoli punti di contatto con il phatos degli
umili eroi e delle atmosfere monacali ed ospedaliere,
evocate con tanta struggente linearità di accenti dal
maestro della Sanfelice e del Viatico dell'orfana.
Ma quando nel 1922 egli giunse a Roma, per stabilirvisi
definitivamente, non tardò ad essere avvinto dal fascino
dell'arte classica e michelangiolesca, accarezzando fantasmi
di monumentali simbologie, più grandi di lui. Nacquero,
allora, sotto l'impeto di una concezione essenzialmente
drammatica (dramma che rivediamo nel Toro del 1943),
le grandi statue del Caino (1922) e della Saffo
(1924), non prive di efficienza struttiva; ma in seguito le
varie suggestioni, provenienti da Mestrovic e da
Bourdelle, e quelle del reincarnato neoclassicismo
novecentesco e, ancora, dell'arte di Michelangelo,
minacciarono di spegnere nel Martinez la sincerità
visuale e l'immediatezza del fatto plastico. Ma ecco, mentre
egli sembrava ormai chiuso nella cerchia degli scultori
italiani allora in auge, di infelucata memoria, comparire
nel 1932 i primi segni di un nuovo e autonomo indirizzo, con
il classico, ma non classicistico, Nudo virile in
cera e con la maestosa e corposa Sirena, oggi per la
prima volta esposta. Abbandonate le idealizzazioni, più o
meno allegoriche o letterarie, il
nostro scultore, sospinto
da stimoli atavici, riprende contatto con la realtà del
carattere umano, sostanziandosi di moduli volumetrici e di
notazioni allusive, quali appaiono, ad esempio, nella gagliarda Popolana del 1934. Da parecchi anni a
questa parte, lo scultore pugliese, superato totalmente
quell'apparente eccletismo, ce in lui era invece effettivo e
sempre più approfondito impegno di ricerca, ha piegato le
scaltrite risorse dell'esperienza e del mestiere e le
risultanze d'una contemplazione interiore, nativamente
pacata e dolce, all'acuta e controllata soluzione
architettonica delle linee e delle masse.
"Un senso di melanconica dolcezza - scriveva di lui
Filippo de Pisis, che per primo ne intuì il "genio" -
ci riporta davvero alle opere grandi".
Nacquero così mirabili serie di teste, quasi tutte
illuminate d'una loro intensa luce interiore e di non so che
antica purezza, inseritasi con gradazioni diverse, ma sempre
con classica, essenziale misura, nello spirito dell'artista.
E senza nulla sacrificare alle necessità della resa
plastica, intesa come sintesi di forme vitali, bloccate
nello spazio, Martinez chiarisce e ravviva ora il suo
stile, modulandone gli accenti con un più alto linguaggio
poetico. Ma v'ha di più, ai fini del potere espressivo
di quest'arte, in quanto nella generale mortificazione della
fantasia propriamente figurativa, che contrassegna il
periodo odierno, Martinez ci porge saggi frequenti del suo
intuito icastico, sul piano non solo della forma e
dell'architettura dei corpi, ma anche dei ritmi di linee e
masse e degli impulsi interiori, per cui le teste e le
figure da lui modellate assumono la prerogativa di
personaggi eloquenti, ma di semplici pretesti ad una
esercitazione stilistica purchessia: personaggi, tipici e
riassuntivi di categorie umane, perfettamente distinti ed
autonomi e perciò stesso memorabili.
Ciò equivale a riconoscere nell'artista pugliese una facoltà
francamente narrativa, ben rara, o addirittura rara, ai
giorni nostri. Tale facoltà di narrare, con vigorosa e
ardente vena icastica, trova una conferma quanto mai
plausibile negli altorilievi in terracotta dove l'innocenza,
riflessa di popolaresche invenzioni, suggerisce attorno alle
sembianze umane moti e impulsi primordiali, aure di ambienti
ed episodi leggendari, sì da assurgere con metafisica
concentrazione alla rapsodia o al mito.
Un lungo discorso, che proponiamo a chi vorrà esaminare con
esauriente acume l'evoluzione del Martinez, meriterebbero
inoltre gli interessantissimi disegni che a centinaia egli
ha tracciato, in periodi vari della sua laboriosa carriera,
obbedendo ad istanze di indagine stilistica. Non si potrebbe
forse sostenere che codeste prove accompagnino passo passo
con puntuale regolarità i diversi sviluppi della plastica di
Martinez, ma essi valgono ad integrare la nostra conoscenza
dell'artista e ci integrano ancor meglio della sua intima
coerenza espressiva, dei meritori e tenaci sforzi da lui
compiuti, oltre che dalle doti spirituali innate a cui
devono, in ultima analisi, ricondursi le conquiste di questo
scultore d'alto linguaggio, collocatosi ormai, per sola
virtù del suo talento, fra le migliori energie della cultura
contemporanea." - Alberto Neppi
Alberto Neppi (1890-1965) fu editore, letterato, critico
e storico d'arte.
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