Solo Francisco Goya, prima di Picasso con Guernica, è riuscito a
rappresentare la ferocia e la paura della guerra con tale cruda intensità.
La decisione dell’artista di consegnare all’arte grafica i suoi più
profondi sentimenti giunse, nel suo percorso creativo, tardi e rappresentò
un momento di grande ripensamento in merito alla sua vita e alla sua
produzione artistica.
“Los desastres de la guerra ” rappresentano per Goya un vero e proprio
documento di disperazione, una presa d’atto delle sanguinose conseguenze
degli eventi storici e la consapevolezza che l’arte può e deve esserne
testimone. |
Di seguito l'elenco delle ottanta opere che comprendono la raccolta,
corredate con utili indicazioni. I link vi aprono le corrispondenti
immagini.
1.
Tristi
presentimenti di ciò che accadrà
Acquaforte, puntasecca, bulino e brunitoio. 178 x 220 mm.
Un uomo inginocchiato e supplicante, vestito di stracci, si umilia e
guarda verso l'alto; lo circonda un paesaggio non meno angosciante la cui
oscurità (fisica e simbolica) sembra popolata da esseri mostruosi, preludi
della non-ragione che verrà. Goya secolarizza la tradizionale iconografia
di Gesù nell'Orto degli Ulivi (risorsa impiegata anche nella stampa 16) e
dipinge Che quadro penoso presentava la Spagna negli anni 1806 e 1807! Con
che tinte scure, con che immagini lugubri Tacito avrebbe dipinto la triste
situazione di questa agonizzante monarchia, se avesse scritto la storia
dei suoi disastri! (anonimo, Valencia, 1809).
2.
Con o senza la
ragione
Acquaforte, guazzo, puntasecca, bulino e brunitoio. 150 x 209 mm.
Un plotone di soldati napoleonici si appresta a fucilare un paio di
patrioti spagnoli che si difende fino alla morte (quello in primo piano
imbraccia una lancia e sfodera un coltello mentre il sangue scorre sul suo
viso). Tra i personaggi sullo sfondo, la lotta continua. Persa la ragione,
facoltà che secondo gli Illuministi modera le passioni, l'uomo si
trasforma in una bestia, appellativo applicabile ad entrambi i bandi (la
macchina per uccidere professionista e impersonale dei francesi
contrapposta a quella dei patrioti, provvisti solo di armi bianche).
3.
Con o senza la
ragione
Acquaforte, guazzo, puntasecca, bulino e brunitoio. 162 x 223 mm.
Il titolo fa riferimento alla stampa precedente, con il dominio
dell'assenza di ragione. Un patriota il cui volto ricorda la fisionomia di
un pazzo brandisce orribilmente la sua ascia. "Amiamo ciecamente la nostra
patria fino alla pazzia" fu un detto dell'epoca (M. Freyre, 1810). La
"pazzia" per la patria farà che egli giustizi il soldato francese caduto
ai suoi piedi nonostante le suppliche sue e del suo compagno. Sullo
sfondo, un altro spagnolo si appresta ad assestare una bella coltellata al
nemico. La drammaticità della scena sfiora il patetismo, una delle
categorie estetiche più preminenti della modernità.
4.
Le donne
infondono coraggio
Acquaforte, guazzo, puntasecca, bulino e brunitoio. 157 x 207 mm.
Una donna assesta una stoccata mortale a un soldato napoleonico mentre la
compagna si difende come può dal nemico che la afferra per i capelli. È
una visione drammatica, basata su numerose fonti storiche, della
partecipazione femminile alla guerra, posizione estrema in un'attività
tradizionalmente riservata all'uomo.
5.
E sono feroci
Acquaforte, acquatinta brunita e puntasecca. 158 x 210 mm.
In questa stampa, Goya critica gli effetti irrazionali che produce nelle
classi deboli e meno preparate la disperazione, stato passionale che può
spingere alla più pura e sfrenata aggressione, come quella della donna
che, per difendere suo figlio, ferisce mortalmente un francese con una
lancia. Ma la disperazione può anche indirizzarsi contro se stessi se non
si raggiunge l'obiettivo, come ricordano i trattatisti dell'epoca; così, a
sinistra, si vede una donna pronta ad immolarsi come Lucrezia. Pietre,
coltelli, spade e lance non sono sufficienti a combattere un esercito
professionista e ben attrezzato come quello che appare nella stampa.
Titolo e acquaforte continuano il senso della precedente.
6.
Ti ci sta
proprio bene
Acquaforte, guazzo e bulino. 144 x 210 mm.
Un militare napoleonico agonizza circondato dai suoi compagni in pieno
campo di battaglia il cui fragore si osserva sullo sfondo, nel gruppo a
sinistra. Con un particolare impiego della grammatica, Goya ironizza sulla
gloria non raggiunta da molti militari, morti anonimi alla fin fine. La
lastra è firmata nell'angolo inferiore sinistro.
7.
Che coraggio!
Acquaforte, acquatinta, puntasecca, bulino e brunitoio. 158 x 209 mm.
Antitesi della stampa 5, la ragione -e non la disperazione- governa la
tranquilla azione di accendere la miccia del cannone che seminerà la morte
tra le fila del nemico. Ci vuole coraggio, virtù che si appoggia
fisicamente e simbolicamente sul mucchio di cadaveri dei difensori che
servono da appoggio all'anonima donna artigliere. Essa rappresenta tutte
le eroine della guerra (e non Agostina d'Aragona in particolare, sebbene
la scena si ispiri direttamente alla sua impresa) e perciò gira la schiena
allo spettatore nascondendo il volto, che di scorcio diventa
irriconoscibile per effetto dell'abbondante tratteggio dell'acquaforte.
Tale significazione esemplare ed emblematica, Goya la concepì con
chiarezza sin dal principio, come dimostrano i due disegni preparatori (Gassier
168 e 169).
8.
Succede sempre
Acquaforte e puntasecca. 178 x 219 mm.
Un corazziere o dragone napoleonico cade con grande strepito sul campo con
il suo cavallo; dietro a questo sfacelo, un gruppo di cavalieri passa al
galoppo. Attraversare così città e paesi dominati o i loro dintorni fu
un'abitudine normale per gli occupanti francesi; il cavallo al galoppo è
utilizzato come simbolo di forza e di dominazione. Ma questa velocità può
portare fatali conseguenze come quella rappresentata nella lastra, che
potrebbe alludere velatamente alla sconfitta di Bailén (22 luglio del
1808).
9.
Non vogliono
Acquaforte, acquatinta, puntasecca e bulino. 156 x 209 mm.
Un soldato napoleonico cerca di violentare una fanciulla. Confidando nella
solitudine dei paraggi (una casa rurale isolata, sensazione suggerita
dalla primitiva noria sulla sinistra) ha abbassato la guardia e non vede
che un'anziana si avvicina con un pugnale. La violenza sessuale è un tema
ricorrente degli orrori della guerra e appare in altre stampe della serie
come anche nelle incisioni di altri artisti. L'efficacia plastica della
scena si basa sulla lotta della ragazza con il soldato (bianco su nero,
pittorico e allo stesso tempo simbolico), che allontana mettendogli una
mano sulla faccia. La vecchia, al contrario, è ispirata all'iconografia
teatrale dell'epoca.
10.
Nemmeno loro
Acquaforte e bulino. 150 x 219 mm.
Reiterazione del tema della stampa precedente, dove si è inaugurata la
descrizione degli orrori della guerra. In un drammatico groviglio di
corpi, una donna si difende come una fiera dall'assalto dei soldati
napoleonici. Firma capovolta nell'angolo inferiore destro.
11.
Neanche così
Acquaforte, guazzo, puntasecca e bulino. 162 x 213 mm.
Tema simile a quello delle due acqueforti precedenti. Un militare
napoleonico trascina sotto un portico o una grotta oscura una madre, che
lascia abbandonata al suolo la sua figlioletta; sullo sfondo un altro
soldato cerca di violentare una donna, che lo supplica senza successo;
sulla sinistra si osserva la sagoma di un eremo o di una chiesa. La
drammaticità della scena è sottolineata dalla diagonale che formano i
personaggi in primo piano e dall'uso teatrale della luce. Firmata
nell'angolo inferiore sinistro.
12.
Per questo
siete nati
Acquaforte, guazzo, puntasecca e bulino. 163 x 237 mm.
Nell'ambito della rappresentazione degli orrori della guerra e dopo la
rappresentazione della violenza sulle donne, Goya incide la prima serie di
corpi senza vita (cfr. 22 e 23), tra i quali si alza un uomo che,
vomitando sangue dalla bocca, presto si unirà a loro. L'utilizzazione di
un paesaggio desolato senz'altro orizzonte che quello della morte rafforza
il suo patetismo.
13.
Amara
presenza
Acquaforte, guazzo, bulino e brunitoio. 143 x 169 mm.
Amara presenza quella dell'uomo legato, di spalle a sinistra,
probabilmente il marito della donna che, al centro della composizione, due
soldati napoleonici cercano di violentare; sulla destra, un altro militare
giace con una donna, parente dei due. I porticati collegano questa scena
allo stupro della stampa 11, Neanche così, fatto che conferisce agli spazi
architettonici di questa serie un valore drammatico più che compositivo.
Goya incise questo Disastro riutilizzando il dorso di metà della lastra
originale del paesaggio con roccia e edifici (anteriore al 1810; Harris,
23); l'altra metà fu impiegata nel Disastro 15. Firmata nell'angolo
inferiore sinistro.
14.
Com'è duro il
passaggio!
Acquaforte, guazzo brunito, puntasecca e bulino. 143 x 168 mm.
Un condannato alla forca è condotto su una scala con l'aiuto di tre
gendarmi; al tempo stesso, un frate cerca di confortare spiritualmente il
reo. Due impiccati oscillano sullo sfondo; sulla destra un altro reo
sembra prepararsi per il passaggio. Come nella scena seguente, Goya cerca
di trasmettere la sensazione di simultaneità della morte. Questa volta, la
pena capitale è inflitta a presunti collaborazionisti, secondo gli
articoli II e III di un Decreto dell'inizio del 1809. Goya incise questo
Disastro riutilizzando il dorso di metà della lastra originale del
paesaggio con roccia e cascata (Harris, 24); l'altra metà fu impiegata nel
Disastro 30.
15.
E non c'è
rimedio
Acquaforte, puntasecca, bulino e brunitoio. 142 x 168 mm.
Un prigioniero spagnolo sta per morire fucilato dalle truppe napoleoniche;
dietro di lui, un compagno muore per la raffica di un secondo plotone; ai
piedi del protagonista, giace morto un altro patriota. Goya riesce così a
trasmettere la sensazione della simultaneità della morte, nello spazio e
nel tempo, continuazione del tema trattato nell'incisione precedente. La
macchina per uccidere della guerra -anonima come le canne dei fucili che
si vedono sulla sinistra della stampa- è costante, non si può fermare … e
non c'è rimedio. Goya incise questo Disastro riutilizzando il dorso di
metà della lastra originale del paesaggio con roccia e edifici (anteriore
al 1810; Harris, 23); l'altra metà fu impiegata nel Disastro 13.
16.
Ne
approfittano
Acquaforte, guazzo, puntasecca, bulino e brunitoio. 162 x 237 mm.
Due soldati napoleonici sottraggono gli abiti ai prigionieri morti. Triste
bottino di cui approfittano questi militari; il cadavere che giace al
centro presenta una secolarizzazione del tema evangelico della Deposizione
del Cristo morto, risorsa già utilizzata nella prima stampa. Firmata
nell'angolo inferiore sinistro.
17.
Non
convergono
Acquaforte, puntasecca, bulino e brunitoio. 148 x 218 mm.
In mezzo al fragore della battaglia, suggerito dai "corpo a corpo" e dai
morti sulla destra, due ufficiali napoleonici non si mettono d'accordo
rispetto agli ordini cui devono dar corso: in definitiva, non convergono.
Firmata due volte: la prima, quasi nascosta sotto il cavallo, vicino al
margine; la seconda, sotto il fucile del soldato morto, a destra.
18.
Seppellire e
tacere
Acquaforte, guazzo brunito, puntasecca e bulino. 163 x 237 mm.
Una coppia sconsolata si tura il naso per non annusare il fetore che
sprigiona il mucchio di cadaveri maleodoranti ammucchiato ai loro piedi,
tutti denudati da quelli che ne approfittano. La morte, nello spettacolo
di desolazione, è la protagonista della stampa, una delle più patetiche e
di miglior risoluzione plastica della serie. La composizione ha a che
vedere con quella della stampa 60. Firmata vicino al margine inferiore
sinistro.
19.
Non c'è più
tempo
Acquaforte, guazzo, puntasecca, bulino e brunitoio. 166 x 239 mm.
Un ufficiale mamelucco, per ristabilire la disciplina o per avvisare della
vicinanza del nemico, provoca il cessare della violenza sulle donne
perpetrata dalla soldataglia: non c'è più tempo. Gli uomini che le
difendevano sono morti; a quello sulla destra, agonizzante, un mamelucco
si dispone ad infliggere un colpo con la sciabola, azione che la presenza
dell'ufficiale pare interrompere. Firmata nell'angolo inferiore sinistro,
sotto la gamba del soldato napoleonico.
20.
Curarli e poi
avanti!
Acquaforte, guazzo, bulino e brunitoio. 162 x 237 mm.
Soldati francesi feriti, quasi moribondi, vengono curati per tornare
rapidamente al fronte. Completano la scena un paesaggio di cadaveri e una
natura patetica come la malattia dei militari: il profilo degli alberi
mostra i rami simbolicamente rotti (cfr. 16 Ne approfittano). La
composizione del soldato ferito sulla sinistra sembra preludiare quella
della tela Goya accudito da Arrieta (Minneapolis Institute of Arts, USA,
1820) e contemporaneamente secolarizza l'iconografia della Pietà
cristiana. Firmata e datata 1810 in basso a sinistra, seminascoste dal
tratteggio dell'acquaforte.
21
Sarà la stessa
cosa
Acquaforte e guazzo brunito. 148 x 218 mm.
Due uomini ammucchiano i cadaveri di un gruppo di guerriglieri morti in
qualche azione (si osservi la cartucciera di uno di loro), mentre una
donna piange amaramente queste morti. Il significato della lastra non è
chiaro: domina nuovamente il patetismo della morte, affermato
dall'espressività della luce. Firmata due volte nell'angolo inferiore
sinistro.
22
Tanto e più
Acquaforte, guazzo e bulino. 162 x 253 mm.
In questa lastra Goya ripropone il protagonismo patetico della morte,
imperante in trentaquattro acqueforti della serie. Un gruppo di cadaveri
di guerriglieri giace vicino alle proprie armi, sciabole e fucili;
l'insieme costituisce l'orizzonte della composizione, risorsa espressiva
ripetuta altre volte nella serie con evidente valore simbolico. Sullo
sfondo si osserva solo un edificio appena abbozzato. Firmata e datata
1810, nell'angolo inferiore sinistro.
23
La stessa cosa
altrove
Acquaforte, guazzo, puntasecca e bulino. 162 x 240 mm.
La stessa cosa della stampa precedente, ma altrove. Ci sono due varianti
significative tra il disegno preparatorio e l'acquaforte: la composizione
è in una grotta, come accade in alcuni quadri di quest'epoca (ad esempio
la serie bellica del marchese di la Romana) e un guerrigliero, vivo nel
disegno seppur raggiunto da uno sparo, appare qui morto, di schiena sulla
sinistra, fatto che intensifica l'effetto patetico della morte. Firmata
due volte vicino al margine inferiore, verso sinistra, una delle quali
sotto il tratteggio dell'acquaforte, l'altra, definitiva, nella zona
bianca.
24
Potranno
servire ancora
Acquaforte e brunitoio. 163 x 260 mm.
Un gruppo di militari spagnoli ha appena finito di combattere vicino a una
fortezza; i feriti, che rappresentano piuttosto dei morti, sono recuperati
dai civili. Se guariscono, potranno servire ancora. Firmata nell'angolo
inferiore sinistro.
25
Anche questi
Acquaforte, puntasecca e bulino. 165 x 236 mm.
Continuazione della stampa precedente. Questa volta l'azione ha luogo in
un ospedale di campagna in cui oltre ai malati è rappresentata la morte.
Notevole è l'insieme dei personaggi -vivi, convalescenti o morti-
rappresentati di scorcio, che conferiscono alla scena una paradossale
dinamicità. Firmata vicino al margine laterale sinistro.
26 Non si può
guardare
Acquaforte, guazzo, puntasecca e bulino. 145 x 210 mm.
Fucilazione di un gruppo di patrioti, uomini, donne e bambini. Come in
altre scene della serie, l'azione -illuminata da una luce espressiva, non
naturalista- avviene in una grotta, senza che si vedano gli attori
dell'esecuzione (è l'anonimato della macchina per uccidere); appaiono però
le punte delle baionette (cfr. 15 E non c'è rimedio). Firmata nella parte
inferiore sinistra, parzialmente nascosta dal tratteggio dell'acquaforte.
27 Carità
Acquaforte, guazzo, puntasecca, bulino e brunitoio. 163 x 236 mm.
Continuazione del tema della stampa 18 Seppellire e tacere. I cadaveri già
vittima della spoliazione (cfr. 16 Ne approfittano) vengono ora buttati,
nudi, in una tenebrosa fossa comune. Se nell'acquaforte 18 si alludeva a
questioni di salubrità (l'uomo che si turava il naso), qui si fa
riferimento -forse con ironia- alla virtù della carità. Firmata e datata
nel 1810, nell'angolo inferiore sinistro.
28 Popolino
Acquaforte, guazzo, bulino, puntasecca e brunitoio. 177 x 220 mm.
Un presunto traditore, dopo essere stato trascinato per le strade, è
bastonato da una coppia con la connivenza del volgo, tra cui spicca un
ecclesiastico con copricapo. Goya chiama con spregio popolino questa
gente, che consente gesti simili, con cui dimostra la stessa barbarie del
nemico. Tadeo González Mateo scrive sulla Gaceta del 16 ottobre 1808:
"Convinciti che non ci si può aspettare niente di buono da crimini ed
eccessi; tutto è negativo e controproducente per la patria: chi prova
piacere a trascinare vivo un uomo che non conosce fino a fargli perdere la
vita tra le pietre […]".
29 Se lo meritava
Acquaforte, puntasecca, bulino e brunitoio. 180 x 220 mm.
Continuazione della stampa precedente, questa volta con un senso di
ironica approvazione. Nelle due acqueforti Goya reitera il tema della
mancanza di ragione, che può provocare nell'uomo la bestialità più
assoluta (cfr. 2 Con o senza la ragione e 3 Idem). La violenza fisica che
sembra evincersi dalla scena non è meno vivida della descrizione di
González Mateo: "chi gioisce nel vedere scorrere il suo sangue [dell'uomo
trascinato], ascolta con serenità se non con piacere i suoi ultimi lamenti
e sospiri e conclude il suo feroce divertimento riempiendo di carne umana
i buchi delle strade e bruciando il resto per spargerne le ceneri, è
capace di commettere più atrocità di quante se ne possano immaginare".
30 Stragi di
guerra
Acquaforte, puntasecca, bulino e brunitoio. 141 x 170 mm.
Una bomba ha distrutto una casa e ha provocato un'esplosione di ciò che
conteneva; il corpo di una giovane donna cade su un mucchio di cadaveri
dilaniati dallo scoppio. Ispirata agli avvenimenti del primo assedio di
Saragozza, la scena creata da Goya è convincente e piena di drammaticità.
Firmata nella parte inferiore sinistra, non visibile per il tratteggio.
Goya incise questo Disastro riutilizzando il retro della metà della lastra
originale del paesaggio con roccia e cascata (Harris, 24); l'altra metà fu
impiegata nel Disastro 14.
31 Che affronto!
Acquaforte, acquatinta brunita e puntasecca. 155 x 208 mm.
Un soldato napoleonico, visibilmente indignato, si appresta a tagliare con
la sua spada le corde da cui pendono tre presunti collaboratori impiccati
dai patrioti spagnoli; alle sue spalle un militare sostiene le gambe del
giustiziato per attutirne la caduta. Come in altre stampe della serie
(cfr. 32, 33, 37, ecc.) l'albero sovverte la sua significazione di
elemento piacevole della natura per trasformarsi in strumento di tortura.
Sulla sinistra, un altro soldato sostiene una donna mentre un secondo
militare si scaglia su di lei, in un gruppo confuso e mal risolto.
32 Perché?
Acquaforte, guazzo, bulino e brunitoio. 157 x 209 mm.
Tre militari napoleonici impiccano un patriota. La crudeltà dell'azione è
condensata nel volto agonico e nei capelli increspati del disgraziato
spagnolo che viene soffocato nel modo più patetico: due soldati lo tirano
per le gambe mentre un terzo lo spinge con il piede appoggiato sulla sua
spalla; tutti fanno forza e tirano il corpo legato all'albero, nuovamente
trasformato in strumento di tortura. La tensione della scena è trasmessa
mediante una composizione dinamica basata su diagonali.
33 Che altro si
può fare?
Acquaforte, guazzo, bulino e brunitoio. 157 x 207 mm.
Un gruppo di mamelucchi trattiene per le gambe un prigioniero nudo che un
altro soldato sta per mutilare all'inguine. Altri corpi mutilati appaiono
nelle stampe 37 Questo è peggio e 39 Gran impresa, con morti! Per Goya
tutta queste serie di crudelissimi atti di barbarie è provocata
dall'eclisse della ragione, che trasforma l'uomo in bestia (cfr. anche la
stampa 2 Con o senza la ragione).
34 Per un
coltello
Acquaforte, puntasecca, bulino e brunitoio. 157 x 208 mm.
La garrota fu generalizzata come metodo di esecuzione dal re intruso
Giuseppe I nel 1809. Il suo utilizzo, risalente a epoche lontane, era già
stato anteriormente illustrato da Goya nella stampa El agarrotado
(1778-1780), ma in questo contesto dei Disastri raggiunge una nuova
dimensione critica. Il possesso di un'insignificante arma bianca (il
coltello appeso al petto del reo, sopra il testo della sentenza) può
condurre un uomo qualunque, magari neanche un patriota, al patibolo.
Comunque, regolarmente assistito dall'ausilio della religione (il
crocefisso tra le mani). Il popolo contempla impotente la pena, tra i
singhiozzi.
35 Non si può
sapere perché
Acquaforte, guazzo brunito, puntasecca e bulino. 154 x 256 mm.
Un gruppo di spagnoli è stato giustiziato con la garrota, forse per
l'illecito possesso delle armi che pendono dal loro collo o per essere
delle spie, nel caso di coloro che hanno solo il foglio indicante il
delitto. Poiché tali colpe erano considerate gravi e dunque motivo
sufficiente per l'esecuzione -come indicano editti e sentenze- i volti dei
giustiziati, con il loro aspetto di poveri diavoli, permettono a Goya di
ironizzare sulla presunta giustizia francese, che pretende di non
perseguire altri scopi se non "che i buoni riposino protetti dalle leggi,
che i cattivi temano il castigo e ciò serva a tutti da esempio" (Gaceta de
Madrid, 8 febbraio 1810).
36 Neanche qui
Acquaforte, acquatinta brunita, puntasecca e bulino. 157 x 208 mm.
Il titolo della stampa continua il senso della precedente: Neanche qui si
può sapere perché. Un presunto guerrigliero pende impiccato con la sua
cintura da un albero secco (il motivo della simultaneità della morte
ritorna, con gli impiccati sullo sfondo). Al vituperio di una morte
considerata infame -dal 1809 si generalizzò il metodo della garrota- si
aggiungono i calzoni abbassati. In contrasto con la drammaticità della
pena, spicca l'atteggiamento tra il malinconico e il meditabondo del
polacco -paradigma dell'orrore e dello spirito sanguinario tra le file
napoleoniche-, unico elemento vivo presente nella scena. L'indolenza
dell'essere umano davanti agli orrori della guerra porta a una sorta di
patetismo assente dalla stampa che probabilmente servì a Goya come fonte
d'ispirazione diretta: l'incisione 11 de Les Misères et les Malheurs de la
Guerre di J. Callot (1611).
37 Questo è
peggio
Acquaforte, guazzo e puntasecca. 157 x 208 mm.
Un prigioniero spagnolo nudo è stato impalato a un albero secco e mutilato
agli arti superiori; sullo sfondo, in un piano inferiore, nascosti in
parte, due militari napoleonici, l'uno armato di sciabola, l'altro di
coltello, sembrano mutilare un prigioniero. Sulla sinistra, un militare
trascina un cadavere verso il gruppo. Questa acquaforte, che rappresenta
la barbarie francese, ha il suo contrappunto nella 39 Gran impresa, con
morti!, dove si espone quella dei patrioti. In entrambi, l'albero diventa
oggetto di tortura (cfr. 32 Perché?).
38 Barbari!
Acquaforte, acquatinta brunita e puntasecca. 155 x 208 mm.
Due archibugieri napoleonici si apprestano a fucilare, alle spalle e
legato a un albero, un prigioniero; in un secondo piano inferiore
-impiegato anche nella precedente stampa- il resto del distaccamento
contempla la scena. Il titolo assegnato da Goya non lascia dubbi
sull'intenzionalità di tutto il gruppo di acqueforti (32-39): Barbari!
39 Gran impresa,
con morti!
Acquaforte, guazzo e puntasecca. 156 x 208 mm.
I cadaveri mutilati (i due a sinistra sono stati evirati) che pendono
dall'albero vanno identificati con i tre presunti traditori. La morte
disonorevole (forca, sgozzamento, ecc.) e la successiva mutilazione delle
membra per l'esibizione pubblica per strada o in luoghi di passaggio
costituì una pratica selvaggia del popolino "patriota" contro coloro che
venivano sommariamente indicati come traditori. Di ciò si sono occupati
anche gazzettini e memoriali dell'epoca. Goya si scaglia di nuovo contro
l'ignoranza, presentando alla riflessione dello spettatore questo
"monumento di barbarie e di atrocità". La firma Goya appare incisa
nell'angolo inferiore sinistro.
40 Qualche
vantaggio otterrà
Acquaforte, puntasecca e bulino. 177 x 221 mm.
Un uomo scalzo, rappresentazione del popolo spagnolo impoverito, lotta
contro il Bull Dog britannico che soffia mostrando i suoi affilati canini.
Gli alleati britannici con Wellington in testa qualche vantaggio
otterranno dal loro intervento armato nella Guerra d'Indipendenza (Peninsular
War), come lamenta la stampa dell'epoca, che menziona distruzioni e
saccheggi inutili causati dalle truppe alleate. Questa acquaforte segna un
punto di inflessione nella metà della serie.
41 Fuggono tra le
fiamme
Acquaforte e bulino, 162 x 236 mm.
Come nella stampa 30 Stragi di guerra, Goya torna qui a mostrare gli
effetti drammatici di un bombardamento, mirabilmente suggerito dal
bagliore sullo sfondo che profila i cadaveri dell'orizzonte; si
riconoscono anche due piedi nudi, come nella stampa 18 Seppellire e
tacere. In rapporto alla stampa precedente, si potrebbe interpretare
questo incendio come quello prodotto dalla distruzione della cosiddetta
"Casa della Cina", manifattura reale di porcellane del Buen Retiro
distrutta dagli inglesi. Firmata nell'angolo inferiore sinistro, nascosta
dal tratteggio.
42 Tutto è
sottosopra
Acquaforte e bulino, 178 x 220 mm.
Un gruppo di frati domenicani e cappuccini corre in tutte le direzioni: in
fondo, a sinistra, uno porta una borsa ben piena, a destra un altro monaco
contempla lo stemma del Sant'Uffizio (la spada e il ramoscello d'ulivo).
Tutto è sottosopra, secondo gli interessati, per la soppressione
dell'Inquisizione, il 4 dicembre 1808, ad opera dell'intruso Giuseppe I.
43 Anche questo
Acquaforte e acquatinta brunita. 157 x 209 mm.
Continuazione della precedente. Frati di vari ordini vagano in uno spazio
agreste: alcuni corrono (i francescani in primo piano), altri conversano o
semplicemente si riposano, come quelli sullo sfondo, a destra.
L'acquaforte è una chiara allusione al decreto di soppressione degli
ordini regolari da parte di Giuseppe I, il 18 agosto 1809.
44 Io l'ho visto
Acquaforte, puntasecca e bulino. 161 x 239 mm.
Gente di varia indole, dietro ad un sacerdote con una borsa, abbandona
precipitosamente per paura degli invasori il paese di cui si vedono le
case sullo sfondo. Scene come questa le avrà viste Goya durante il viaggio
a Saragozza o a Piedrahita durante la guerra. Ciò nonostante, la frase io
l'ho visto è un luogo comune nella retorica dell'epoca, insufficiente
perciò a dare obiettività di episodio concreto alla scena. Firmata
nell'angolo inferiore sinistro.
45 Anche questo
Acquaforte, guazzo ?, acquatinta, puntasecca e bulino. 166 x 222 mm.
Continuazione del tema precedente, la composizione si sofferma su un
particolare della gente in fuga che porta con sé alcuni beni, i figli e
anche alcuni animali, come il maiale della sinistra. L'abbandono delle
proprie case dietro l'annuncio dell'invasione francese fu un fenomeno
generalizzato che obbligò a prendere rigidi provvedimenti nei confronti
degli abitanti di tali nuclei. Firmata nell'angolo inferiore sinistro.
46 Mal fatto
Acquaforte, guazzo, acquatinta brunita, puntasecca e bulino. 156 x 208 mm.
Un soldato napoleonico uccide un frate con una sciabolata, davanti agli
occhi impassibili di due commilitoni; dietro all'aggressore giace morto,
di scorcio, un altro monaco. Questa scena ha a che vedere con la seguente:
entrambe descrivono "le infamie della religione profanata e le ricchezze
rubate alle chiese" cui fanno costante riferimento le gazzette dell'epoca.
47 Accadde così
Acquaforte, guazzo brunito, puntasecca, brunitoio e bulino. 156 x 209 mm.
Due soldati di Bonaparte rubano il tesoro di una chiesa: vari candelabri,
un calice, una croce per le processioni, un'immagine della Vergine con
corona d'argento, ecc. Gli anonimi ladri fuggono piegati sotto il peso del
bottino, lasciando dietro di sé un frate accasciato contro una balconata
per il dolore causato dalla ferita infertagli al ventre, dovuta forse alla
sua resistenza a consegnare loro i preziosi. Il saccheggio dei templi fu
frequente e le gazzette e i pulpiti spesso lo lamentarono. Goya però non
mostra l'identità dei ladri, ritraendoli alla fine della loro malefatta.
48 Pena crudele!
Acquaforte, guazzo brunito e bulino. 151 x 208 mm.
Un uomo in piedi a capo scoperto contempla un gruppo di cadaveri distesi
al suolo, in un paesaggio pateticamente desolato; tra loro, una madre
stringe al ventre il suo figliolo, probabilmente morto. La scena possiede
una soluzione compositiva simile a quella della stampa 18 Seppellire e
tacere. A partire da questa stampa e fino all'inizio dei Capricci enfatici
(dall'acquaforte 65 alla fine) Goya presenta una nuova serie delle fatali
conseguenze della guerra: la fame e le sue correlate, la malattia e la
morte.
49 Carità di una
donna
Acquaforte, guazzo, brunitoio e bulino. 156 x 208 mm.
Una donna completamente coperta porta un piatto con cibo ad un gruppo di
mendicanti, alla presenza di un'altra donna e di un obeso sacerdote. A
partire dal 1811, la fame fu un fatto generalizzato tanto a Madrid come
nel resto della Penisola; nonostante le misure benefiche adottate nella
capitale dal re intruso, non fu possibile palliare la penuria, al punto
che si richiese la collaborazione dei privati, come mostra questa scena,
che si può mettere in rapporto tematico con la 59 A che serve una tazza?
50 Madre
infelice!
Acquaforte, acquatinta brunita e puntasecca. 157 x 206 mm.
Una giovane madre morta è condotta via da tre uomini, tra le lacrime della
sua figlioletta, che segue il corteo funebre. Sullo sfondo, un'altra
moribonda seguirà le sorti della precedente. Goya ricorre nuovamente ad
una composizione in un luogo solitario e tenebroso, in cui una luce
espressiva, non naturalista, inonda le tristi figure dei protagonisti.
51 Grazie alla
cicerchia
Acquaforte e acquatinta brunita. 156 x 205 mm.
Alcuni indigenti di ambo i sessi si dirigono con le loro scodelle verso
una donna completamente coperta che distribuisce cibo a base di farina di
cicerchia, come spiega il titolo. Questo legume, i cui grani hanno una
forma che ricorda i denti ("denti di morto", da cui deriva l'etimo della
parola in spagnolo), era solitamente usata come mangime per animali a
causa del suo basso prezzo, ma la guerra fece di questo prodotto il
sostentamento dei più bisognosi. Firmata nell'angolo inferiore sinistro,
nell'ombreggiato, quasi nascosta dal tratteggio dell'acquaforte e
dell'acquatinta brunita.
52 Non arrivano
in tempo
Acquaforte, guazzo, puntasecca e bulino. 157 x 207 mm.
Un'anziana (identica alla caritatevole protagonista delle stampe 49 e 51)
sostiene per le ascelle, con l'aiuto di una giovane, una madre morta, al
cui soccorso non arrivano in tempo. Sullo sfondo, un uomo col cappello
giace morto al suolo. La composizione è un'altra secolarizzazione della
Pietà.
53 Spirò senza
rimedio
Acquaforte, guazzo, acquatinta brunita, bulino e brunitoio. 156 x 209 mm.
La persona morta che spirò senza rimedio non è visibile per lo spettatore,
poiché rimane nascosta dalle sei persone che la circondano, in una tipica
scena di strada (si osservi la giovane servetta con la cesta della spesa,
interrotta nella sua mansione). Il tema patetico della morte, reiterato in
questa stampa, è presentato con una teatralità cui contribuisce la luce
espressiva.
54 Clamori invano
Acquaforte, guazzo, bulino e brunitoio. 157 x 208 mm.
Invano si alzano i clamori del gruppo di bisognosi sulla sinistra al
passaggio delle persone più abbienti, come la figura dell'ufficiale
napoleonico che, altivo, baffuto e con bicorno non presta attenzione ai
lamenti di quei poveri scheletriti ammucchiati all'ombra del tetto di un
misero edificio. "[…] le case, le strade, i templi, tutto risuona dei
clamori di addolorati e di bisognosi […]" scrive la Gaceta de Madrid l'8
maggio 1812.
55 La cosa
peggiore è dover chiedere
Acquaforte, guazzo e brunitoio. 156 x 208 mm.
La guerra ha portato la fame, specialmente nei grandi centri come Madrid.
Un gruppo di uomini affamati contempla una giovane prostituta che passa
davanti a loro senza guardarli; sullo sfondo, un baffuto soldato
napoleonico guarda la donna. Nel disegno preliminare (Gassier 204) la
meretrice, accompagnata da una mezzana, è condotta via da un soldato
napoleonico e le figure scheletriche alzano la mano in segno di richiesta.
Nell'acquaforte, Goya ha semplificato la composizione, rendendo meno
evidente l'azione della giovane, che non critica. La firma dell'artista è
"imboscata" nell'erba dell'angolo inferiore sinistro (la "G" è capovolta).
56 Al cimitero
Acquaforte, guazzo e puntasecca. 156 x 208 mm.
Due uomini conducono al cimitero un cadavere, come spiega il titolo. Sullo
sfondo, una madre con il suo figliolo, ricordo iconografico della Vergine
con Bambino. I morti a Madrid furono così tanti che i servizi pubblici non
erano sufficienti a raccogliere e seppellire i cadaveri. Di nuovo Goya
secolarizza una iconografia cristiana, La sepoltura di Cristo. C'è una
reminiscenza della Deposizione di Caravaggio a Santa Maria in Vallicella a
Roma che Goya forse vide nell'originale o in una copia, oppure in una
delle molte incisioni che la riprodussero.
57 Sani e malati
Acquaforte, acquatinta, bulino e brunitoio. 157 x 209 mm.
La carestia provocata dalla guerra ridusse la dieta dei più indigenti
all'ingestione di solo pane. Rapidamente sorsero speculatori che
fabbricavano l'alimento con farine di diversi tipi e condizioni,
producendo un pane non sano. Il risultato fu che la popolazione di Madrid
dovette sopportare anche questa difficoltà. Goya rappresenta sani e malati
in uno spazio architettonico circondato da luci ed ombre, le stesse per
ogni gruppo. Nella retorica dell'epoca, l'aggettivo sano si applicava
anche, in entrambi i bandi (bonapartisti e patrioti) alla parte della
nazione spagnola legittima e antagonista dell'altra, il che conferisce
alla stampa una doppia lettura politica.
58 Non bisogna
gridare
Acquaforte, acquatinta, bulino e brunitoio. 157 x 211 mm.
Non bisogna gridare né lamentarsi affinché i francesi sullo sfondo non
sentano. Essi sono elegantemente vestiti: quello di spalle con un carrik
(specie di mantella) e cappello, gli ufficiali sullo sfondo con bicorni
alla moda. È evidente il contrasto tra il patetismo della miseria in primo
piano e l'eleganza dei dominatori, nemmeno sfiorati dalla carestia, sullo
sfondo; interessante variazione tematica dell'acquaforte 54, Clamori
invano.
59 A che serve
una tazza?
Acquaforte, guazzo e acquatinta brunita. 157 x 207 mm.
Una donna aiuta con una grossa tazza di cibo una giovane madre
agonizzante, il cui viso stravolto è sostenuto da una donna più anziana;
intorno ci sono dei cadaveri, tra i quali si riconoscono anche dei
bambini. La scena è presentata in un paesaggio desolato, con
un'illuminazione tenebrosa per effetto dell'acquatinta molto ampia.
L'ormai inutile carità della donna (A che serve una tazza, se è
moribonda?) è in rapporto tematico con la stampa 49 Carità di una donna.
60 Nessuno li
aiuta
Acquaforte, acquatinta, bulino e brunitoio. 154 x 207 mm.
Una coppia di adulti e una di bambini, tutti morti o in agonia, distesi a
terra per l'inanizione, provocano la disperazione di un povero affamato
che si porta le mani al viso con orrore. Gli effetti della fame, visibili
nell'incisione scheletrica delle estremità, hanno prodotto questa
situazione terminale. Il patetismo della scena è stato rafforzato da Goya
presentando questi indigenti in mezzo a un deserto, lontano dai centri di
beneficenza delle città e da altri tipi di aiuti. Con lo sfondo ottenuto
dalla brunitura dell'acquatinta si crea l'impressione di un'alba, che le
povere persone non vedranno mai.
61 Sono di un
altro lignaggio
Acquaforte, guazza, puntasecca, brunitoio e bulino. 156 x 208 mm.
Un gruppo di poveri, tra cui spicca il più indigente nell'atto di tendere
la mano per chiedere la carità, si oppone simmetricamente a un gruppo di
borghesi. Quello con il bicorno, elegante e alla moda, rappresenta la
classe speculatrice, arricchitasi con la guerra, come ebbe a scrivere la
Gaceta de Madrid nel 1812: "Abbiamo visto sorgere dal nulla colossi di
potere e di ricchezza; abbiamo visto altri che prima nuotavano
nell'opulenza ammantarsi dell'indigenza". Questi ultimi sono forse
rappresentati dal borghese col cappello, serio e invecchiato, che Goya
colloca su un piano inferiore nella stampa, per mostrare la sua
inferiorità sociale rispetto al nuovo ricco che peraltro gira la schiena
ai poveri, perché a loro non può prendere nulla, come se fossero di un
altro lignaggio o di altra condizione umana. Tra i personaggi che
dialogano si nota il viso di una bella giovane che guarda fissamente verso
lo spettatore, avulsa da tutto e da tutti.
62 I letti della
morte
Acquaforte, guazzo, puntasecca, bulino e brunitoio. 177 x 221 mm.
I morti coperti da un lenzuolo si ammucchiano in attesa della sepoltura.
Tra questi letti della morte deambula una persona coperta da un lenzuolo
stracciato, con cui si protegge dal fetore della putrefazione (si pensi
alla figura femminile della stampa 18 Seppellire e tacere).
63 Cadaveri
recuperati
Acquaforte e acquatinta brunita. 155 x 208 mm.
Un mucchio di cadaveri attende la sepoltura. Vicino, un paio di bare; un
lusso per quei giorni. Sono cadaveri recuperati, come scrive Goya con
amaro sarcasmo. Nel passaggio dal disegno al rame, l'artista ha realizzato
un cambiamento importante: ha vestito tutti i corpi -nudi nel disegno
(cfr. Gassier 212)- e ha eliminato i corpicini di quattro bimbi.
64 Sui carri al
cimitero
Acquaforte, acquatinta, bulino e brunitoio. 156 x 209 mm.
Alcuni uomini caricano su un carro pieno di corpi senza vita il cadavere
di una bella giovane il cui gracile corpo suscita commozione; dietro di
loro, altri funzionari radunano ancora dei morti. Nelle sue memorie,
Mesonero Romanos ricorda che a quell'epoca a Madrid il numero dei morti
d'inedia e di malattie era così alto che i carri municipali passavano
anche due volte al giorno a raccogliere i cadaveri lasciati nelle chiese o
per le strade.
65 Che è questa
confusione?
Acquaforte, acquatinta brunita e/o guazzo, bulino e brunitoio. 180 x 221
mm.
La spiegazione della stampa non è molto chiara, giacché a cominciare da
questa il linguaggio impiegato da Goya è quello simbolico proprio dei
capricci enfatici. Un militare interrompe il suo compito di annotare
qualcosa sui fogli per osservare due donne attaccate da cani furiosi;
sullo sfondo, altre persone sembrano formare una coda. L'insieme potrebbe
fare riferimento all'evacuazione di Madrid per l'imminente entrata delle
truppe alleate guidate da Wellington.
66 Strana
devozione!
Acquaforte, acquatinta brunita o guazzo e brunitoio. 177 x 222 mm.
Un asino porta un'urna nella quale giace il corpo incorrotto di un
personaggio venerando; intorno, i devoti che assistono alla processione
s'inginocchiano e pregano davanti alla reliquia. L'asino è simbolo di
ignoranza e di stupidità; seguendo certi apologhi dell'epoca (di Samaniego
o di Ibáñez de la Rentería) si potrebbe interpretare la stampa come una
satira morale contro la vanità, intendendo che l'asino (paradigma
letterario della stoltezza) creda di essere l'oggetto della venerazione
della folla. Goya comunque sta anche criticando velatamente la
sottomissione del popolo ad usi e costumi dell'Ancien Régime -in
particolare quelli della Chiesa (il cadavere venerato, appunto)-, frutto
dell'ignoranza (l'asino), tema che peraltro ricorre nei Desastres. Questo
capriccio enfatico è da mettere in rapporto con il seguente.
67 Questa non lo
è meno
Acquaforte, guazzo e/o acquatinta brunita, puntasecca, bulino e brunitoio.
179 x 220 mm.
Un terzetto di vecchi aristocratici, vestito alla moda del Settecento,
sorregge un'immagine di cui si vede la piattaforma e l'armatura. La
processione continua e un altro personaggio sorregge una seconda immagine.
Le due vergini rappresentate sono quelle della Soledad e di Atocha (in
secondo piano). Criticando questa strana devozione Goya sottolinea il
potere del clero e il suo atteggiamento reazionario, fonte continua di
lotte tra i cosiddetti serviles e i liberali.
68 Che pazzia!
Acquaforte, guazzo e bulino. 160 x 222 mm.
Un frate si appresta a defecare dopo aver mangiato, come denota il
cucchiaio della mano destra; guarda a destra, nella direzione di un gruppo
di maschere vicino a un orinale; a sinistra, sono visibili una pila
disordinata di stampe devote (una Vergine, la miracolosa apparizione di
un'altra), ex voto di cera e reali (ad esempio, dei pantaloni vicino a una
stampella), un manichino con abiti femminili … Sullo sfondo, in penombra,
altri frati vanno in processione. Questo capriccio enfatico critica -come
il 66 e il 67- le ataviche abitudini religiose dell'Ancien Régime; il
frate vive da signore grazie all'ignoranza dei fedeli creduloni e
superstiziosi (gli ex voto e le immagini sulla destra) e alla
manipolazione (le maschere) che la chiericaglia fa di tali caratteristiche
del popolino.
69 Niente. Si
vedrà
Acquaforte, acquatinta brunita, guazzo e puntasecca. 155 x 201 mm.
La Morte scrive infine Niente (titolo nichilista dato da Goya, alterato
dall'Accademia di San Fernando nella prima edizione), vinta da un esercito
di spettri, tra cui spicca per effetto dell'illuminazione un chierico con
testa da cane, simbolo dell'avarizia; la Morte sostiene una corona di
paglia, simbolo della gloria passeggera del potere. Nell'estremo opposto,
la Giustizia legge ignara, mentre sostiene la sua caratteristica bilancia
e risplende nel suo debole alone di luce. Questo disastro simboleggia il
regresso politico e sociale dovuto al ritorno del Deseado, dopo le
speranze e le aspettative della guerra d'Indipendenza; della Giustizia non
resta che il nome. Quest'incisione si può mettere in rapporto con una
popolare vanitas barocca di Valdés Leal, Finis gloriae mundi,
probabilmente contemplata da Goya a Siviglia, nel 1790.
70 Non conoscono
la strada
Acquaforte, puntasecca, bulino e brunitoio. 177 x 220 mm.
In fila indiana e uniti per il collo, avanza un gruppo di uomini
costituito da nobili (uno con tricorno, parrucca con il codino, calzoni
corti e casacca, moda più che obsoleta all'epoca in cui l'artista fece
quest'incisione), da monaci (con l'abito bianco), da preti (con il tipico
copricapo) e da altri. A testa bassa, attraversano un paesaggio impervio e
chi li guida sembra cieco. Non conoscono il cammino costituzionale, sembra
la spiegazione più soddisfacente. La corda di reazionari ha spiegazioni
bibliche (Giobbe 12: 24-25; Matteo 15: 14; Luca 6: 39) ma costituisce
anche un luogo comune della letteratura liberale; Gallardo, amico di Goya,
scrive infatti: "I sentieri della virtù, affinchè possiamo seguirli bene,
devono essere illuminati dalla luce della sapienza; l'intendimento guida
la volontà: con gli occhi bendati e la catena ai piedi non si possono fare
molti passi nel cammino della perfezione".
71 Contro il bene
comune
Acquaforte e brunitoio. 177 x 221 mm.
Un frate con ali da pipistrello (vampiro) e unghie lunghe (simbolo
dell'avarizia) scrive su un gran libro, mentre alza la mano sinistra e
dirige il dito indice verso l'alto (il cielo, Dio); sta seduto su
un'antica sedia del Seicento (antiquata come il suo pensiero), mentre i
piedi appoggiano su una grande boccia, simbolo dell'orbe. Dietro di lui,
un gruppo di personaggi (il popolo) si affligge e si dispera. Goya critica
apertamente il clero reazionario che con più potere di prima della guerra
"vampirizza" il popolo ignorante e si instaura nuovamente nei vecchi
privilegi che questo amanuense ecclesiastico scrive per disegno divino
"contro il bene comune", come dicevano i liberali dell'epoca. L'intenzione
di questa stampa si estende ai Disastri 72 e 73.
72 I risultati
Acquaforte. 179 x 220 mm.
In rapporto con la precedente incisione, un uomo disteso, quasi esanime,
agonizza mentre un paio di vampiri gli succhiano il poco sangue che gli
resta; alle sue spalle, si avvicina un intero stormo di vampiri. Sono
questi i risultati della restaurazione dell'Ancien Régime in Spagna.
L'azione dei vampiri è metafora delle imposte reintrodotte da Ferdinando
VII e specialmente quelle ecclesiastiche, che "succhiano il sangue" alla
popolazione, ancora oberata dalla miseria del dopoguerra.
73 Pantomima
gattesca
Acquaforte, bulino e brunitoio. 179 x 219 mm.
Un frate s'inginocchia servilmente davanti a un gatto acquattato su
un'ara, intorno al quale svolazza un gufo. Nell'oscurità, sullo sfondo,
altri personaggi osservano la scena. Goya utilizza il linguaggio degli
apologhi per plasmare questa pantomima gattesca; il gatto (agile
predatore, simbolo del furto) è il re che su uno sgabello (fusione
plastica di Trono e Altare) riceve il consiglio del gufo che qui per
antitesi rappresenta l'ignoranza e non la saggezza. Intorno, ha i suoi
consiglieri umani, tra i quali è ben visibile il frate in primo piano e un
altro in secondo piano; tali personaggi rappresentano la conosciuta corte
di Ferdinando VII, avvolta metaforicamente e plasticamente nell'oscurità.
Partendo dal testo di Casti questa scena si potrebbe anche interpretare
come il tribunale costituito per l'epurazione politica, dove la delazione
era all'ordine del giorno (il gatto sarebbe dunque un confidente
circondato da spie).
74 Questa è la
cosa peggiore!
Acquaforte e brunitoio. 179 x 220 mm.
Una volpe firma un decreto, aiutata da un ecclesiastico inginocchiato che
sostiene il calamaio, in presenza di una folla eterogenea tra cui spicca,
a sinistra, un prigioniero vestito di stracci e con le mani legate. Le
parole scritte sul foglio sono: Misera umanità/ la colpa è tua/ Casti
(strofa 57, canto XXI). Questo autore italiano, probabilmente letto da
Goya (realizzò anche un suo disegno, Gassier 1813), scrisse: "È fuor di
dubbio che il genere umano prova simpatia per la schiavitù; a che pro
sprecare il fiato in vane parole? Se si trova bene con la schiavitù, che
non la molli".
75 Riunione di
ciarlatani
Acquaforte, guazzo o acquatinta, puntasecca e bulino. 177 x 222 mm.
L'uccello rapace del centro, inginocchiato, è vestito in abiti
ecclesiastici; dietro di lui, appare un gruppo di figure animalesche, una
delle quali ha una maschera sulla nuca. L'interpretazione non è chiara, ma
potrebbe rappresentare il cardinale Luigi Maria di Borbone (figlio
dell'infante Luigi di Borbone e dell'aragonese Teresa Ballabriga, antichi
protettori del giovane Goya) che, sebbene fosse simpatizzante dei
liberali, riconobbe come re Ferdinando VII ancor prima del giuramento alla
Costituzione, quando fu ufficialmente ricevuto a Valencia. L'uccello porta
la tiara dei persiani, che allude all'adulatore Manifesto dei Persiani
presentato al re dai deputati conservatori. Le figure sullo sfondo
rappresenterebbero la corte reale.
76 L'avvoltoio
carnivoro
Acquaforte, bulino, brunitoio e puntasecca ? 177 x 221 mm.
Un colossale avvoltoio è spinto da un uomo provvisto di forca; a sua
volta, costui è seguito da una folla eterogenea per sesso e condizione
(civili, ecclesiastici…); alcune persone sorridono allegramente.
L'avvoltoio rappresenta le truppe francesi espulse dal popolo; i versi del
poeta Arriaza nella Profezia dei Pirenei (1808) offrono la chiave: "E
fugge tra i tuoi guerrieri/ come in stormo di carnivori avvoltoi". La
caduta di Napoleone implicò la firma da parte di Ferdinando VII del
manifesto del 4 maggio 1814 e la ripresa delle lotte tra servili e
liberali.
77 Si romperà la
corda!
Acquaforte, guazzo o acquatinta brunita e puntasecca. 178 x 221 mm.
Un ecclesiastico cammina in equilibrio sulla corda, che sta per cedere
sotto il suo peso, davanti all'attento pubblico che contempla la scena;
uno spettatore segnala con il dito il punto di rottura della fune. Nel
disegno preliminare (Gassier, 225) il dignitario dell'incisione è
chiaramente papa Pio VII, con tiara e inguantato. Ancora una volta, il
bersaglio di Goya è la Chiesa, in particolare il sommo potere temporale,
Pio VII, che incoronò Napoleone a Parigi e si espresse a favore del regime
teocratico restaurato da Ferdinando VII.
78 Si difende
bene
Acquaforte, puntasecca, bulino e brunitoio. 179 x 219 mm.
Un branco di lupi attacca un cavallo, che si difende come può, davanti a
quattro impassibili mastini. Il cavallo bianco rappresenterebbe il popolo
libero (la Spagna liberale) assediato dai reazionari nemici -i lupi- che
appoggiano Ferdinando VII , sotto gli occhi di quattro cani da guardia,
uno dei quali guarda dall'altra parte. Come in altri capricci enfatici,
Goya si rifà qui al linguaggio della parabola mediante personaggi da
apologo (cfr. 73, Pantomima gattesca, 74 Questa è la cosa peggiore, 75
Riunione di ciarlatani e 76 L'avvoltoio carnivoro).
79 La Verità è
morta
Acquaforte e brunitoio. 176 x 221 mm.
Una donna giovane e bella, coronata d'alloro e a seno nudo, simbolo della
Costituzione e della Verità, giace morta ai piedi di un nutrito gruppo di
ecclesiastici e di frati, uno dei quali si appresta impaziente a scagliare
sul cadavere la prima palata di terra. Presiede la sepoltura un vescovo
che, lungi dal benedire il cadavere, segnala il cielo come se si trattasse
di un disegno divino (lo stesso atteggiamento del Disastro 71 Contro il
bene comune). A destra, la Giustizia piange sconsolata la morte della
Verità (Ferdinando VII eliminò nel 1814 la Costituzione); la bilancia, suo
attributo, resta prigioniera. La luce soprannaturale che irradia la Verità
non è naturalista e i personaggi che partecipano alla scena sono
illuminati o nella penombra, in funzione del loro ruolo espressivo.
80 Resusciterà?
Acquaforte e brunitoio. 178 x 220 mm.
Continuazione della stampa precedente. La Costituzione sembra tornare in
vita: ha mosso la testa e sembra che cerchi di alzarsi; la sua luce, poi,
non si è spenta. Nessuna pietra tombale può contenerla. Nonostante ciò, i
nemici che la minacciano sono ancora potenti; nella penombra, un gruppo di
ecclesiastici, alcuni con testa d'animale (a sinistra spicca un sacerdote
con copricapo e faccia porcina), si prepara ad ucciderla nuovamente: uno
la minaccia con un volumaccio e il frate sulla destra brandisce un palo
mentre raccoglie una pietra; sullo sfondo, svolazzano vari vampiri.
L'alone della Verità illumina un personaggio che prega per la
risurrezione.
Raccolta completa delle immagini
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Ultimo
aggiornamento:
17-11-22
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