Mohamed
Wandavi, nato a Karkuk, in Kourdistan (Iraq), nel 1945, giunge
nella città di Roma nel 1972, dove si iscrive all’Accademia delle
Belle Arti (coi Maestri Gentilini e Fazzini) ed inizia a collaborare
con altri pittori. Nel 1975 riceve la cittadinanza Svedese, quindi
si trasferisce a Stoccolma continuando gli studi presso l’Accademia
d’Arte Svedese (Pio Ultvót è uno dei suoi insegnanti). Inizia qui, a
Stoccolma, a partecipare alle sue prime mostre.
Al teatro Royal Svedese di Stoccolma lavorò come insegnante d’arte e
come decoratore. Innumerevoli le sue partecipazioni ad eventi
artistici internazionali in città come Roma, Milano, Venezia,
Stoccolma, New York e Madrid.
Wandavi è viandante del mondo, considerando che si sposta
continuamente dalla Svezia all’Italia e viceversa. Il girovagare è
fondamentale per l’artista, in quanto gli permette di creare una
continua relazione con culture e tradizioni sempre diverse, essenza
pura della sua arte.
La sua pittura è pregna della cultura delle sue origini (teniamo
conto che Wandavi proviene da una terra culla di una civiltà
straordinaria, sviluppatasi tra il Tigri e l'Eufrate, dove hanno
regnato le divinità di Babilonia e di Ninive, di Susa e di Ur) ma
spazia da questa fino alla magia egiziana, alla mitologia greca,
alla religione orientale, al cristianesimo e ai miti nordici. Un
'repertorio' culturale che si traduce attraverso vivaci decorazioni
simboliche e colori granulosi e possenti, con linee marcate e
precise.
"A
me piacciono i cavalli di Wandavi. S'inganna chi li considera un
fregio. Sono cavalli che corrono. Cavalli che corrono in tutti i
sensi, nel tempo e nello spazio, nello spazio dell'essere.
Ma prima di seguirli nella loro corsa, guardiamoli: guardiamoli
rinsecchirsi e gonfiarsi, scuotersi ed imbizzarrire - sono cavalli
selvaggi che costruiscono strane geometrie, ricordi e fantasie
d'infanzia che diventano massicce sculture o serpenti di movimento,
quadrati piedistalli o conchiglie marine. Il loro collo è sempre un
torace: ogni cavallo di Wandavi è una respirazione possente e
diversa, talora un divertita ironia della forza. Ogni cavallo è una
macchina che produce una forza ed una dinamica specifiche ed ogni
quadro ha tanto movimento che salta e galoppa come il suo oggetto.
Lasciamoci dunque trasportare nel tempo da queste macchine potenti.
Banale è il riferimento al fregio del vasellame greco: più antico,
molto più antico, è il vero richiamo.
No, non bastano i segni archeologici del medio-oriente antico e
neppure cert'arte indiana a spiegarcelo. Nel tempo, col tempo
sobbalziamo: sono macchine mitiche questi cavalli, strappate al
pathos di Leviatano o Behemot, ai più antichi strati
dell'antichissimo racconto biblico.
Sono forse l'immagine sognata, allora fissata, in quell'antichissimo
tempo, di macchine spaziali giunte da altri mondi.
Quindi diagrammi di futuro anteriore, fantasmi sorti nella notte dei
tempi per annunciarci una potenza futura. I cavalli corrono nel
tempo, fra l'antichissimo e il futuro, mai abbandonando la loro
libertà: nessuno li cavalca, nessuno li cavalcherà mai. Ma essi
producono altre creature, nello spazio. Il tondo ventre del cavallo
diventa la testa di una donna, o i suoi seni prodotti da un
vorticoso movimento. I cavalli inseriscono la loro rotonda
dinamicità dentro quadrati che non ne misurano le dimensioni ma ne
proiettano le forme: il cerchio è quadrato da una potente voluttà.
Nel rotondo del cavallo s'impone l'immagine femminile. Facile
sarebbe, per il bolso e funereo freudiano di turno, ricondurre
l'intreccio delle figure geometriche all'amplesso e all'orgasmo.
Ma qui è la macchina che agisce, la macchina formale, che si libera
di ogni cavaliere per lasciare alla furia del cavallo, e a quella
dell'artista, il solo desiderio della creazione." - Toni
Negri, 26/6/1993
"(...) E' un mondo che si muove, quello raffigurato da Wandavi e
i simboli che ritornano, archetipi del viaggio trascorso,
appartengono a un sogno nuovo, a un mondo che si offre e ti ospita.
Ti ospita tra donne lunari, assorte, con gli occhi rivolti altrove,
tra sirene che si tuffano facendo vacillare i templi, tra cavalli
imbizzarriti, solitari, fatti per essere belli, non certo per la
guerra, ti ospita tra pesci guizzanti tra le reti del colore,
colombe, mani aperte, barchette di carta che viaggiano superando
confini, limiti, barriere." - Floriana Rigo, Padova
6/6/1993
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Ultimo
aggiornamento:
05-02-22
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