A giustificare questa presa di posizione sono,
da un lato, l’impianto scientifico dell’esposizione, dall’altro il
numero e soprattutto la qualità delle opere riunite nelle dodici
sezioni. A precederle è un’ulteriore sala introduttiva riservata
all’arte popolare russa, con un focus sulle espressioni creative dei
popoli della Vologda (Russia settentrionale), con le quali l’artista
entrò in contatto durante un soggiorno in quei territori nel 1889.
Abbandonata la carriera giuridica, nel 1896, all’età di trent’anni,
Kandinskij si trasferisce a Monaco di Baviera per studiare pittura,
prima con Anton Ažbe, poi con Franz von Stuck. Nel 1901 fonda
l’associazione “Phalanx”. Le sue opere rilevanti sono xilografie e
dipinti dalle atmosfere fiabesche, che spesso si rifanno al folklore
russo. Tra esse “Sonntag”, del 1904, dal Museum Boijmans Van
Beuningen di Rotterdam.
Dopo un periodo di peregrinazioni tra l’Europa centro-occidentale e
la Russia, nel 1908 Kandinskij si stabilisce a Murnau, in Baviera. I
suoi dipinti si caratterizzano ora per grandi zone di colore
brillanti giustapposti. E in mostra, accanto ai suoi capolavori, si
ammirano opere di Gabriele Münter, Marianne von Werefkin e Alexej
von Jawlensky.
Il modello musicale (con le celebri “improvvisazioni” e
“composizioni”) è fondamentale nel passaggio dalla figurazione
all’astrattismo, ed è ravvisabile anche nel rapporto con il
compositore e pittore Arnold Schönberg, di cui sono presenti in
mostra due importanti dipinti.
Poi per Kandinskij ha inizio una fase creativa magmatica, fino al
suo approdo definitivo all’astrattismo. Il colore si libera dal
disegno, dalla linea, e perde ogni funzione rappresentativa: è un
mezzo autonomo, che serve a suscitare sensazioni, a esprimere
l’animo dell’artista e le sue percezioni non soltanto visive, ma
sonore, tattili, psicologiche. “Improvisation 34”, del 1913, è
un’opera emblematica, proveniente dalla città di Kazan, dal Museo di
Stato di Belle Arti della Repubblica del Tatarstan.
Una sezione è dedicata al gruppo del “Cavaliere azzurro”, e di
questo momento è il dipinto Der Reiter (Sankt Georg), prestato dalla
Galleria Tret’jakov di Mosca, posto a confronto anche con lavori di
Paul Klee.
Alla fine del 1914, dopo alcuni mesi trascorsi in Svizzera,
Kandinskij rientra in patria, stabilendosi a Mosca. Dopo la
rivoluzione riceve incarichi d’insegnamento e organizzazione.
Continua a teorizzare la correlazione tra forma, colore e musica,
contrastato da parte degli assertori di posizioni più costruttiviste
e materialiste (Rodčenko, la Popova, Punin, che critica le sue
“deformazioni spiritistiche”). Ritrovatosi isolato, nel dicembre del
1921 Kandinskij torna in Germania. La sua pittura, nel frattempo, ha
conosciuto una progressiva tendenza alla geometrizzazione, come
documentano in mostra le opere concesse dal Museo di Stato Russo di
San Pietroburgo e dal Puškin di Mosca.
Un approfondimento è riservato ai dipinti di Kandinskij su vetro
eseguiti nel 1918. Si tratta di composizioni figurative, che
riprendono temi e modi del mondo fiabesco russo. Ricorrente è
l’iconografia della “donna cavaliere”.
Nel 1922 Kandinskij si trasferisce a Weimar a insegnare al Bauhaus.
Qui ritrova l’ideale di comunanza e sintesi tra le arti da lui
sostenuto sin dai tempi del “Cavaliere azzurro”. I dipinti del
periodo di Weimar evidenziano singoli elementi come il cerchio,
l’angolo e le linee curve e rette, un gusto per una certa disarmonia
e per una cromia fredda. Al geometrismo di questi lavori continua ad
accompagnarsi una base irrazionale, in cui le scelte espressive sono
determinate da un’intuizione spirituale. In mostra, tra gli atri,
“Weisses Kreuz”, olio su tela del 1922 della Collezione Peggy
Guggenheim, “Rot in Spitzform”, del 1925, dal MART di Rovereto, e
“Grün über Rosa”, del 1928, di collezione privata.
Infine l’approdo in Francia. Già nell’ultima fase del Bauhaus a
Dessau emerge un Kandinskij più giocoso, connotato da una certa
leggerezza. In talune opere appare l’influenza dell’amico e collega
Klee. Questa fuga fantasiosa si rivela annunciatrice del successivo
periodo parigino, caratterizzato da uno spirito ludico e da un
linguaggio biomorfo vicino per alcuni versi a quello surrealista.
Fino all’ultimo, nonostante la malattia, Kandinskij non è
abbandonato da una felice vena creativa. Tra i prestigiosi prestiti
internazionali, per questa sezione conclusiva della mostra, “Le nœud
rouge”, olio su tela del 1936, dalla Fondation Maeght di
Saint-Paul-de-Vence, e “Sans titre” del 1940, dall’Albertina di
Vienna.
Radunare ben ottanta opere di Kandinskij (oltre a libri in edizione
originale, documenti, fotografie, rari filmati d’epoca, cimeli e
oggetti d’arte popolare), commenta il co-curatore Paolo Bolpagni,
è stata un’impresa ardita e straordinaria, che consentirà al
pubblico italiano di ammirare capolavori unici che segnano tutti i
principali snodi della carriera di uno dei massimi artisti del
Novecento. Di grande importanza è anche il catalogo realizzato da
Silvana Editoriale, nel quale, oltre ai saggi dei curatori Paolo
Bolpagni e Evgenia Petrova, sono presenti quelli di Silvia
Burini, Andrea Gottdang, Jolanda Nigro Covre e Philippe Sers,
una biografia dell’artista di Brigitte Hermann e la
riedizione della rara traduzione in italiano dello scritto di
Kandinskij “Sguardi sul passato”, dalla versione russa del
1918.
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aggiornamento:
22-03-22
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