David Stewart ha una storia da raccontare nelle sue fotografie tra il surreale e l’ironico ; costruisce le scene in modo preciso come parte di un film, di un racconto, come lui le vede, utilizzando colori netti e pieni, pop e kitsch.
Ha iniziato la sua carriera fotografica lavorando con The Clash e The Ramones . Le sue visioni e le sue costruzioni sceniche gli sono valse la finale al concorso per il miglior ritratto della National Portrait Gallery di Londra. Al contrario di altri autori più neutri, i suoi personaggi svelano la sua identità inglese, sia per la scelta degli interni delle abitazioni e degli ambienti in generale, sia per i caratteri dei personaggi, del loro modo di vestirsi e atteggiarsi. Sempre alla ricerca di qualcosa di strano, di surreale, di umoristico. Cerca di far pensare le persone, di trasportarle dentro le immagini. In una intervista Stewart rivela : “ Inizialmente le mie foto colpiscono d'impatto, poi a stupirti davvero sono i dettagli. Chi guarda le mie foto deve sorridere, pensare o provare comunque un' emozione. Io non seguo trend fotografici, cerco di stare nel mio mondo e nel mio linguaggio visuale “.
“La fotografia di David Stewart non ha l’ intento di creare una frattura e destare un’ aspra critica nei confronti di precedenti linguaggi fotografici , al contrario le sue realizzazioni sono un’ acuta conoscenza della società anglosassone : con i suoi tic , le sue manie , lo humour sferzante che contagia l’ osservatore , un’ elegante panoramica di situazioni alla Mister Bin si condensano con un realismo attento alle nostre ossessioni e debolezze . (…) Il mondo fotografico di Stewart ha le sue radici : nell’ immaginario estetico del rock fine anni sessanta – anni settanta dei suoi amici The Clash e The Ramones , i colori accesi , le atmosfere rarefatte ed intense , lo spiccato senso del ridicolo e dell’ eccesso , un’ estetica ammaliatrice ed originalità che ci fa ripercorrere la storia di un film musicale nel quale diventiamo anche noi protagonisti buffi ed eccentrici .” - Camilla Boemio (dal testo critico del catalogo “Cabbage” 2010 edito dall’ Associazione Arte Contemporanea ).
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