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Nato ad Altamura (BA) nel 1942, Domenico Ventura ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, nella classe di Pittura di Giovanni Brancaccio. Esordisce giovanissimo, tenendo diverse personali presso importanti gallerie della sua regione e ponendosi presto in controtendenza rispetto agli orientamenti del tempo, stabilendo la sua linea di ricerca nel campo della figurazione. Alla fine degli anni Settanta varca i confini pugliesi, partecipando a collettive a Roma e Matera e tenendo una personale a Milano; prosegue il suo cammino artistico con coerenza ed una costante e significativa attività espositiva in tutta Italia. È artefice di una pittura riconoscibile e personalissima, formalmente composta e raffinata, ma disorienta lo spettatore con soggetti ambigui e situazioni destabilizzanti e paradossali. Nel 1999 Massimo Guastella cura un catalogo monografico sulla sua opera. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive, presentando lavori anche in contesti pubblici. Sue opere sono conservate in importanti collezioni pubbliche e private italiane. All'età di 79 anni, a seguito di complicanze respiratorie, si è spento venerdì (2 aprile 2021) nella sua amata Altamura. Ebbe a scrivere Tommaso Evangelista a proposito della sua pittura: "[...] una pittura, quella di Ventura, al contempo icastica e onirica, fortemente ironica e sfuggevole, capace di turbare attraverso un intelligente e mai banale ricorso al perturbante ma mai di disturbare, puntando invece maggiormente sulla dissimulazione, la beffa, la farsa con un atteggiamento di bonario e divertito distacco dalle cose. Una tecnica ad olio di grande qualità formale, rigorosamente figurativa, capace di creare un cortocircuito visivo giocato sull’assurdo e il surreale, e che ci costringe a “trovare l’intruso” ovvero a svelare quel filo metaforico che lega le situazioni e ce le presenta come divertissement. Le opere dell’artista, figura storica dell’ambiente pugliese, sono eccentriche e corrosive nel mostrarci la quotidianità non come dramma bensì come (mal)costume dagli esiti spesse volte tragicomici. Il verismo analitico che lega ingenuità e perversione, la forza grafica del segno, l’individuazione di archetipi e “modi” che derivano dal mondo culturale della provincia contadina, accentuano gli esiti drammatici e ridicoli della pittura ma soprattutto comunicano, attraverso la satira sottile, un immaginario ambiguo e profondamente autentico, un ricorso al realismo espressivo che si può valutare anche in relazione al capolavoro di Carlo Levi, Lucania ’61[...]. Gli ultimi della terra, di Levi, nella pittura di Ventura divengono cinici e sprezzanti, ironici e grotteschi, ma sempre con il sorriso (ebete o troppo umano) sulla bocca: ci ricorda Catone il Censore quale monito “Quelli che sono seri in questioni ridicole saranno ridicoli in questioni serie”." E Donato Laborante, in arte Emar: "Se avessi la follia di credere nella felicità la cercherei nell'abitudine diceva il poeta et mai frase trovo chiù appropriata a ricordo del maestro Domenico Ventura 28/10/1924- 02/04/2021 Altamura. Tutte le mattine passeggiata al mercato per compere et saluti ai profumi della terra. Allo studio atelier fino a mezzogiorno. Pranzo a casa con Mariolina Francesco et Dario. Riposo pomeridiano per ritorno allo studio a dipingere fino all'ora di cena. Dopo cena ritorno allo studio. Senza mai fumare una sigaretta. Senza mai bere alcolici. Sempre disponibile ad accogliere artisti da tutto il mondo che venivano accolti come fratelli sorelle sia da Domenico Ventura che da Vito Maiullari scultore. Una Altamura da amare. Una vita da operaio nella vigna del Signore il dottor Domenico Ventura laureato all'Accademia di Napoli la vive dipingendo le nostre nevrosi che da francescano ha saputo vedere a tra verso le solitudini ra chiuse in Noi popolo senza Mosè.[...]" (da https://www.altamuralife.it/) E Pietro
Marino (La
Gazzetta del Mezzogiorno, 08/04/2021) - "[...] Di Ventura – scrissi nel 1971 –
nulla sapevo, se non che era uscito dall’Accademia di Napoli. Ne
segnalai il “singolare talento” di un pittore esordiente dotato di
“qualità sicurissime, al limite del virtuosismo tecnico, travasate
peraltro in linguaggio sconcertante”. Sconcertante per “accenti
amari, stralunati, feroci nella loro impassibilità”. Nel 1972
(quando forse lo conobbi anche di persona) confermai il giudizio
sottolineando però l’accresciuta prevalenza dei fattori psichici nel
suo lavoro. Nel 1977 mi spinsi a salutarlo come “pittore
straordinario”. Perché “capace di esprimere l’agghiacciante tensione
di traumi erotici attraverso una pittura di compostezza
monumentale”. E spingendomi a dichiararlo “grosso pittore”
concludevo che comunque la sua era “una storia che merita di essere
seguita”.[...]"
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