“Il
tratto delle emozioni”, questo il titolo della mostra di dipinti
promossa e curata dall’artista galatinese
Fabiana Luceri, già ospite nella rassegna del 2 marzo “Segni di Donne”
allestita nelle sale del museo civico.
Insieme a Cesare Cassone e
Leonardo Basile, entrambi
artisti baresi, Luceri propone opere il cui ambito espressivo si colloca
nella corrente dell’ Espressionismo astratto o Informale. L’idea del
confronto generazionale tra artisti assegna spessore all’evento occasionale
della mostra, al fine di tentare un bilancio del fare arte in Puglia, tra
esigenze di mercato e autentica e consapevole presenza dell’artista nel
proprio impegno professionale caratterizzato dalla ricerca.
Bari ha fornito esempi d’eccellenza nell’imprenditoria dei privati: se in
Segni di donne abbiamo accennato a Peggy Guggenheim e alla sua opera nella
promozione dell’arte contemporanea a Londra prima, dopo a Venezia; non
possiamo omettere il nome di una collezionista e gallerista di spicco e di
raffinata sensibilità, che nel 1971 avvia a Bari uno spazio realmente
internazionale dedicato all’ arte contemporanea d’avanguardia: Marilena
Bonomo.
Il suo impegno continua tutt’oggi, anzi si è intensificato con l’apertura di
gallerie a Roma, nonostante i venti di crisi.
Anche per Bari, infatti, come si evince dai contributi critici di Lia De
Venere, è difficile trovare spazi da destinare all’arte contemporanea: “la
Sala Murat” di Piazza del Ferrarese non sempre offre una ideale destinazione
d’uso per le mostre e il restauro del teatro Margherita dura ormai da troppi
anni. Pietro Marino già da tempo lamenta in Bari non ama l’arte? La
galleria, ieri e domani, (2001) il problema “lungo oltre un secolo”, cioè la
mancanza di spazi pubblici destinati alle manifestazioni ed eventi legati
all’arte contemporanea.
La Bari degli anni ’60 e ’70 è la città dove si formano Cassone e Basile:
sono gli anni che preparano i grandi eventi: le mostre istituzionali del
decennio successivo, le quali attestano, (in ritardo rispetto all’iniziativa
dei privati, dunque) grandi aperture del capoluogo all’arte europea: le
mostre di Braque e di Pollock dell’83 al castello Svevo hanno lasciato in
noi tutti un ricordo indelebile, anche se Basile ha dichiarato la propria
preferenza per la mostra delle opere di Marc Chagall che arrivava dalla
Russia nel 1994. Il volto della città dal’60 al ’70 cambia senza controllo:
il quartiere murattiano “sfigurato dalle banditesche imprese della
speculazione” come dichiarò apertamente Bruno Zevi, lasciava poco spazio ad
architetti più coscienziosi: Vittorio Chiaia (1922-2003) che tenne
conferenze negli USA, Vito Sangirardi e, di una generazione più giovane,
Domingo e Francesco Sylos Labini, quest’ultimo, Master of Science in
Ingegneria Civile, Columbia University, N.Y. nel 1973.
Le istituzioni, tuttavia, si muovono in ritardo: Bari, infatti, aveva già
palesato la voglia di ricostruzione e di aggiornamento della cultura
artistica già dalla fine degli anni ’40, quando si inaugura in via Putignani,
il caffè-galleria “Il Sottano” di Armando Scaturchio, (speaker di radio
Bari, la prima radio libera in Italia). Il luogo era una sorta di Caffè
Greco barese dove si incontravano artisti e critici che, come Vittore Fiore,
Oronzo Valentini –critico ufficiale della “Gazzetta del Mezzogiorno”- e il
giovane architetto Vittorio Chiaia, dirigevano lo spazio espositivo aperto
all’interno del Caffè nel 1947. Valentini guardava con interesse anche
l’opera degli artisti salentini, soprattutto quella di Luigi Gabrieli, a cui
la Giuria del “Maggio”, edizione 1956, avrebbe dovuto assegnare un premio e
non una segnalazione.
Seduto ai tavoli di quel bar c’era, insieme al gruppo, un artista
galatinese, grande amico di Fiore, De Robertis e fraternamente vicino a
Luigi Russo (promotore dell’istituzione dell’Accademia delle Belle Arti di
Bari); già docente e poi direttore di istituti d’Arte
(Calitri, Bari, Galatina): Mario Serra.
Erano quelli, anni di grandi speranze per l’arte pugliese, e Serra,
condividendo discussioni e progetti era parte di quelle forze culturali che,
segnate dall’ attivismo e dalla militanza, hanno lasciato nel tempo
un’eredità valoriale importante.
La sua preziosa intervista mi ha consentito di vivere attraverso il suo
racconto, l’entusiasmo e la determinazione degli artisti presenti a Bari
negli anni della ricostruzione. “…allievo fra i più dotati e promettenti di
Leonardo Castellani,” a Urbino, Serra espose alla galleria del Sottano nel
1956 (23 febbraio) una mostra di acqueforti presentate da Carlo Alberto
Petrucci, Direttore della Calcografia Nazionale, proprio nell’anno in cui
Pietro Marino diventava segretario della rassegna Mostra Nazionale di
pittura nell’ambito del “Maggio” di Bari. L’anno successivo espose al Sedile
a Lecce (1-16giugno) -appena restaurato- 30 opere in ceramica, presentato da
Vittorio Bodini.
Il successo del “Maggio” di Bari era assicurato dallo spirito propositivo e
imprenditoriale dei baresi la cui vocazione commerciale e di valorizzazione
del territorio è stata sottolineata nel contributo di Lia De Venere, un
dovuto omaggio ad un periodo d’oro, perché quell’iniziativa che parte da due
poli del Mediterraneo: Bari e Napoli diventerà Biennale dal 1962, con la
presenza di maestri quali Vedova, Santomaso, Pomodoro, Menzio, Birolli,
Cassinari, Capogrossi, Guttuso e di critici come Argan, Ragghianti, De Grada,
Pallucchini, Ponente.
La presenza delle opere di Vedova a Bari per quella data, dimostrava un
aggiornamento veramente encomiabile e coraggioso della critica. Ad un
decennio di adesione alla corrente dell’Informale, con i Plurimi in corso di
installazione, “il fratello italiano di Pollock” -come lo definì Argan- di
ritorno da Tokio, lascia a Bari, -prima di partire per Berlino (ospite del
Senato per le Scienze e le Arti)- una traccia di universalità.
Un segno, un gesto, un tracciato energetico.
Ci vorranno decenni prima che questa scintilla si traduca in linguaggio
pittorico.
Così racconta Emilio Vedova nel medesimo anno (1962) al “Corso
Internazionale di Alta Cultura”, coincidente con la XXX Biennale -quella di
apertura alla prospettiva mondiale- , durante i lavori del Convegno:
“sentiamo oggi molto bene che i moti di ognuno in questo spazio senza più
dimensioni, confluiscono in miliardi di direzioni, e la possibilità di
fermare un pensiero, una parola, ne è disturbata.
“Questo avviene a volte anche nella “solitudine” dello studio, dove i campi
emozionali da dove nasce l’opera, ne sono violentemente agitati. “
“…lavori di profondità su altri tipi di domanda, in questo via vai di
ipotesi, di sbandamenti, perché penso così e non così; e portare
possibilmente alla luce nell’opera, questi “quanti”.
Spazio a più “dimensioni”, “campi emozionali”, fisica quantistica, i pittori
informali nel loro rifiuto della forma annunciano una rivoluzione attuata:
la presenza dell’energia come artefice dell’opera d’arte e dell’artista come
medium.
Quanto dichiarato da Argan su Vedova, riportato e accolto dallo stesso
artista ci lascia comprendere quanto sia profonda la dimensione in cui si
immergono gli artisti informali:
“ Chi ha le orecchie e tutta l’anima intenta a quei suoni o a quelle
risonanze, e le sente dentro di sé perché, a sua volta, è dentro la
situazione . Bisogna viverla, allora, quella situazione, e non già
tracciandone le linee generali, o inquadrandola in uno schema, ma nella
dinamica delle sue tensioni, delle sue contraddizioni dei suoi assurdi.”
Cesare Brandi, sempre nel medesimo convegno ne supporta le posizioni:
“Il travaglio che ancora dà alla critica la definizione di che cosa sia e in
che cosa consista la pittura detta informale, deriva dal fatto che,
partendosi dai puri dati apparenti delle pitture a cui si attaglia questo
titolo è impossibile trovare un comun denominatore…così ha fatto poi
appuntare gli occhi su talune varianti come fossero svolte fondamentali,
tale la peinture de geste che traduce in francese l’action painting, ossia
quel momento che è davvero originale e comune a quasi tutto l’informale, e
deve creare la connivenza dello spettatore, integrarne il presente nell’atto
stesso della pittura come di cosa che è sempre in fieri. Pittura di gesto
che è supremamente in Pollock …”.
Sir Herbert Read, direttore della collezione londinese di Peggy Guggenheim
nel 1939, partecipò anch’egli a quel convegno, durante il quale sottolineò
l’apporto fondamentale delle teorie psicanalitiche di Jung sull’Informale.
Pollock fu sottoposto all’ analisi e in lui il concetto junghiano
dell’inconscio collettivo sortì grande effetto. Anche i Surrealisti avevano
praticato un’arte automatica, ma l’Informale fa dell’automatismo psichico
una componente essenziale.
Così Pollock:
“Quando io sono dentro l’atto del dipingere, io non sono conscio di quello
che sto facendo. E’ soltanto dopo un certo periodo di “adattamento” che io
mi rendo conto di quello che andavo facendo. Non ho paura di correggere,
distruggere l’immagine e così via, perché la pittura ha una sua vita
autonoma. Io cerco soltanto di farla venir fuori. E’ soltanto quando perdo
il contatto con la pittura che il risultato è un fallimento. Altrimenti è
armonia pura, è un armonico dare e ricevere, e la pittura mi riesce bene.”
In un’opera del 2008: Colpodocchio, Basile fissa l’istante della percezione
visiva, l’attimo in cui il dinamismo dell’ambiente e la sensorialità del
singolo entrano in contatto, è il momento della consapevolezza, il passaggio
dal vedere all’osservare, è entrare “dentro la situazione”, attivare questo
tratto della percezione è indispensabile davanti ad un dipinto Informale:
questa capacità attentiva ci condurrà ad un approdo della coscienza che è
solo nostro, personalissimo.
Grazie al dipinto senza forme ciascuno di noi vive le proprie epifanie e
prende coscienza della vita interiore.
Questo processo è realistico perché è dentro “la situazione”.
Le opere della mostra ripropongono il simbolismo dell’occhio nel flash della
ripetizione modulare di Terza Grande Policromia Modulare realizzati su 36
piccole tele di uguale formato. Nei due dipinti che ripetono i particolari
di opere più grandi è presente l’accenno alla capacità di fissare nella
retina messaggi subliminali: scritte, marchi, frammenti di oggetti, come
parte di una montatura di occhiali. Il nostro occhio agisce come una
periferica di input e noi siamo nel gioco senza esserne consapevoli.
L’artista denuncia senza raccontare, ma entrando “dentro la situazione”. Le
tecniche di Basile manifestano questa espressività aggiornata sul piano
tecnologico. L’artista non rinuncia, tuttavia, alla tentazione di
rappresentare un paesaggio, ma lo realizza con piccole tessere lignee
multicolori. E’ un paesaggio marino si intitola Il mare, policromia
modulare. Non c’è traccia di action painting, tutto è controllato e
razionale, se si osserva l’opera nel suo insieme, nella sintesi. Ad un
occhio attento, però, le tessere racchiudono un microcosmo informale e
l’immancabile dripping ce lo rammenta. I titoli delle opere sono indizi
sulla pregnanza materica, cromatica, dunque sulla fisicità: 2° particolare
Seconda grande policromia modulare ; Terza grande Policromia modulare ;1°
particolare seconda grande Policromia modulare ;Tricromia modulare
Il concetto del frammento viene esaltato dall’uso del modulo e della tecnica
del mosaico realizzata con tessere di legno di pioppo o piccole tele usate
in alternativa.
Con il suo saggio sulla teoria dei colori Goethe rivendicava la centralità
dei sensi umani nell’apprendimento della Natura:
“I colori sono azioni della luce, azioni e passioni. Colori e luce stanno
anzi in rapporto strettissimo, ma dobbiamo rappresentarci l’una e gli altri
come appartenenti all’intera natura: poiché è proprio essa che, tramite
loro, si svela per intero in particolar modo al senso della vista.”
La Transavanguardia (Clemente, De Maria….) ha fondato su questi assunti la
propria originale proposta: sono le sensazioni, le vibrazioni dei colori che
colpiscono i sensi e dai sensi si impara.
Pensiamo alla medesima ricerca svolta a fine ‘800 dagli Impressionisti : la
realtà restituita attraverso l’emozione dell’artista, era scientificamente
più reale di quella restituita da un singolo artista perché riproduceva il
movimento del tempo (e non la fissità immutabile dell’oggetto) unitamente
all’azione della luce sui corpi. Gli studi sulla cattedrale di Rouen sono al
confine tra opera d’arte e rilevazione sensoriale.
La scienza non dà più certezze : l’irrazionale prende spazio e dunque la
conoscenza può pervenire anche attraverso le emozioni e i sensi.
Attraverso il tratto delle emozioni.
Le 18 opere esposte da Fabiana Luceri rappresentano vari periodi e influssi
determinanti come quello dei dipinti che segnano un doveroso omaggio a
Pollock: Sinapsi, Yellow, Segni; segue il gruppo delle opere di
introspezione interiore : Alla ricerca di me stessa, Sogni (esposto alla
“Vibe Gallery” di Londra), Prospettiva, nei quali spazio interiore e
“urbano”(i bei grigi di Prospettiva suggeriscono un’inconfondibile nebbia
metropolitana) confluiscono; quelle in cui l’astrattismo è più
preponderante: Time (il più “figurativo” della mostra), L’albero dei sogni ,
in cui lo spazio è più surreale, infine il gruppo di opere che si
distinguono per un’espressività più matura: Eruzione,(esposto alla “Vibe
Gallery”), Policromia, Abstract, Violet, La tela del ragno.
In Sogni, astratto, la presenza di un occhio, di un aquilone, richiama una
sorta di stato d’animo adolescenziale, stagione elettiva per la proiezione
dei nostri desideri nel futuro. Il dipinto è stato esposto anche a
Conversano per “Face art”, a Venezia in una mostra collaterale alla
Biennale: “Xante Battaglia meats Fabiana Luceri”. Presso la “Fondazione
Xante Battaglia” è conservato il dipinto Sovrapposizioni cromatiche.
In alcune opere di Luceri è intuibile la raffigurazione di uno spazio
cosmico: l’accenno di ricerca spaziale nella composizione viene condotta
attraverso una sapiente stesura di piani a tinte fredde, piani a tinte scure
e tocchi in oro per dare l’idea di luce ( e di vita?) in uno spazio cosmico
sconfinato e muto in cui l’artista ben sottolinea la sensazione di angoscia
(Policromia). L’effetto di rilievo, item della pittura informale ( a metà
tra pittura e scultura) è dato dal pigmento impastato che è presente anche
in Eruzione, sapiente, costruito più raffinato e meno statico del primo. In
quest’opera (esposta anch’essa alla “Vibe”) la forza della natura, è resa
evidente e leggibile dal moto circolare del piano di fondo della
composizione, su cui è descritto il movimento rapido e spettacolare della
fuoriuscita della roccia fusa. I colori scuri ma lucenti, conferiscono un
effetto di positiva energia creativa, non di cataclisma.
Violet esprime attraverso la scelta del colore spirituale per eccellenza: il
viola, il momento della discesa nel proprio spazio interiore.
Abstract è l’omaggio a Pollock più riuscito per la stesura di piani e una
padronanza del dripping che manca negli altri studi della serie dedicata al
maestro.
Il più figurativo è Time: colore steso con tecnica mista, a gouache oppure
applicazione di foglia d’argento. In Panta rei, ritorna il viola colore
della spiritualità, steso in un bel moto ondoso, privo di grumi o rilievi
come in Violet. Attimi è stato dipinto a marzo 2013, con foglia oro e
smalto. Il bel formato verticale esalta i contrasti nero, oro e rame, i
dripping gialli e neri che portano movimento alla composizione e segnano il
piano in superficie. La tela del ragno, del giugno 2010, è un piccolo
capolavoro. Un bel saggio di accordi cromatici che prendono corpo nel
delicato bassorilievo di grumi e filamenti su cui è descritta la ragnatela.
Simbolicamente più sottile del ragno e del tamburello, questa, come il
titolo dell’altro dipinto, Sinapsi, sono un’aperta e consapevole allusione
al contagio dell’energia vitale della danza che è oltre il folklore
turistico. Vi sono intrappolate luce, spazialità, moto: la stesura circolare
del pigmento, quasi allude agli avvitamenti del corpo durante la danza.
L’immagine della ragnatela è in fieri come richiedono i più classici dettami
dell’Informale. Alla ricerca di me stessa, è un omaggio a Picasso del
febbraio 2012, mentre Pezzi di colore, del gennaio 2013, con accenno di
costruzioni geometriche, è il dipinto da cui è tratto il particolare
presente nella locandina. Senza titolo - anche qui un topos informale- è un
acrilico su tela del 2012, uno studio in azzurro, lavorato a spatola e
pigmento argenteo. Infine Impatti fecondi, composizione in giallo e grigio,
esposto a Londra alla Vibe Gallery, e a Bari alla Vallisa è stato pubblicato
su La bottega dell’arco acrobata.
Il moto e il colore si fondono magnificamente nell’arte di Cesare Cassone ne
I cinque soli, opera astratta dalle forti tinte blu e rosse, con sequenze
graffite.
Seguono una serie di dipinti spiccatamente informali:
The world in motion 4, acrilico su cartone del 2013, in azzurro.
La composizione è divisa in quattro spazi in cui il colore sconfina tra uno
scomparto e l’altro. Forme rarefatte e colore disteso, levigato, brillante.
Gli sfondi sfumati accennano all’idea della terza dimensione.
The world in motion 5, acrilico su cartone del 2013. E’ancora l’azzurro, che
campeggia nei quattro scomparti con accenni di figuratività geometrica: tre
con tondi, uno con tre rettangoli. I toni dei colori sono brillanti gli
sfondi sfumati.
New age 2 del 2012. E’ un’opera caratterizzata dalla composizione
geometrica: rosso, bianco, nero, il pigmento è steso a gouache in alcuni
tratti. E’ un dipinto armonico, il più “storico” tra quelli esposti da
Cassone, per una vaga eco di accordi cromatici che ricorda i maestri
dell’Informale. Il pigmento pastoso, inciso e sopraelevato, la parte
superiore bianca lavorata a spatola, i colori puri non sfumati.
New age 18, acrilico su tela, fondo giallo e forme rosse a spatola. Il
dipinto è diviso in quattro “sequenze” figurative.
Oggi, acrilico su tela del 2012. Rosso, nero, bianco, forme curvilinee
Cassone ha al suo attivo numerose collettive e personali, tra cui quelle
alle Gallerie “Blu Org” di Bari, “Albanese” di Matera, “Zanelli” di Pavia,
“Tartaglia” di Roma e “De Marchi” di Bologna, alle Mostre Mercato
Internazionali di Arte Moderna e Contemporanea, quali Padova, Bari, Genova,
Parma, Udine, Forlì e Reggio Emilia; all’estero, ha esposto anche a Zagabria
(Croazia), Buenos Aires, Mar del Plata, Cordoba, Mendoza (Argentina)
Montevideo (Uruguay) e Minsk (Bielorussia).
E’ stato recensito da “La Repubblica”, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, “Il
Quotidiano di Bari”, “Il Corriere dell’Arte”, La Rivista “BOE’”, “Punto
d’Incontro” e riportato nei Cataloghi Annuali de “I Grandi Maestri” 2007 e
“L’Elite New” 2008.
Ha al suo attivo molti riconoscimenti quali:
nel 2007, il “Premio Speciale” del Corriere dell’Arte” ed il “Premio
Internazionale Anthony Van Dyck”; nel 2008, il “Premio Internazionale
S.Valentino- Medaglia Camera dei Deputati”, “1° Concorso Pittura
Estemporanea” -Castellaneta (TA) (1° classificato), Premio “Inno alla
Natura” - Città di Monreale (PA), “3° Premio Internazionale” BOE’ Palermo -
Attestato di Merito Artistico e, nel 2009, Premio “Club degli Artisti” di
Foggia, “I maestri Italiani del Colore 2009” Malta- Attestato, Premio “Parga
2009”, Premio Internazionale “René Magritte”, Bruxelles, Premio Ambiente
2009 Stresa (VB).
Prof.ssa Rosamaria dell'Erba
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