Lessico informale - 1948/1960 (di Beatrice Luzi)
"Il termine informale è un’espressione vaga e incerta che si disperde
nei discorsi artistici e critici del dopoguerra europeo includendo al
suo interno le definizioni più disparate. Da questa riflessione è sorto
uno studio volto a contestualizzare e circoscrivere un “paradigma
linguistico” di riferimento attraverso il confronto delle fonti italiane
e internazionali, con una particolare attenzione ai cataloghi e alla
rassegna stampa delle Quadriennali romane tra il 1948 e il 1960 (2).
L’ondata informale del dopoguerra, a ragione considerata “globale”, ha
manifestato tante inflessioni quante sono le definizioni cui ha dato
vita, le quali, nate come resoconti di cronaca culturale, hanno
consegnato alla storia tutta la complessità espressiva ed esistenziale
di questa tendenza. Volendo stabilire una genealogia lessicale in tal
senso, occorre chiedersi innanzitutto in quale terreno essa affondi le
proprie radici per poi individuare affinità, idiosincrasie e ricorrenze.
Negli anni Quaranta, a Parigi, nel pieno imperversare dell’astrattismo
post cubista dei cosiddetti Jeunes peintres de tradition française,
Fautrier e Dubuffet per primi esprimono, nelle opere e negli scritti
programmatici, l’esigenza di emancipazione dai linguaggi ormai stanchi
desunti dalle avanguardie d’inizio secolo. Il pittore e critico Michel
Tapié, fra i fautori della definizione informel e instancabile esegeta
di una coralità artistica transnazionale, considera i Jeunes peintres
come romantici e fauve alla moda (3), mentre celebra le ricerche di
Fautrier, Dubuffet, Michaux e Mathieu per l’aspetto dichiaratamente
squallido, primordiale e istintuale (4) della loro pittura. Nei suoi
molti interventi, il critico coglie un’urgenza semantica comune (5) che
nel corso del tempo coinvolgerà un sempre maggior numero di artisti,
dall’Europa all’America, ponendoli sotto l’egida di un’art autre
rispetto alle nozioni pittoriche tradizionali, sospese tra accademismo e
modernismo (6). Gli scritti teorici d’oltralpe traboccano di asserzioni
perentorie e visionarie dal tono enfatico mentre in Italia, con qualche
eccezione, prevale la tipologia più sintetica del manifesto, accanto
all’attitudine analitica di critici eminenti e militanti.
Nel 1944 Enrico Prampolini pubblica quel testo premonitore che è Arte
polimaterica (verso un’arte collettiva?), approdo teorico delle ricerche
di oltre un ventennio. Ciò che colpisce è la formulazione ante litteram
di termini e concetti indispensabili per definire l’informale nelle sue
molte varianti. L’artista scrive di “materia” nella propria immanenza
biologica e trascendenza formale, di elemento materia o elemento
estraneo al colore (intendendo come la pigmentazione sia secondaria
rispetto alla materia stessa), di espressione artistica rudimentale (7).
È immediato il riferimento a Tapié e Dubuffet mentre invocano l’assenza
di intellettualismo davanti a un atto puro di emanazione diretta
primordiale e sensoriale (8) o quando fanno appello al ritmo interiore
dell’opera (9). Naturalmente, la poetica di Prampolini è ben lungi
dall’urlo dell’informale (10): nel suo teorizzare un rinnovato dialogo
con la materia, l’artista assume un tono programmatico e
interdisciplinare, mirando a una Gesamtkunstwerk socialmente impegnata.
Tuttavia, come nota Luciano Caramel, la hyle originaria di cui parla
Prampolini, priva di qualunque identificazione morfologica, è in fin dei
conti un aspetto distintivo dell’informale rispetto all’astrattismo
(11).
Nel 1946, il critico e scrittore americano Robert Coates riprende
l’espressione abstract expressionism, coniata da Alfred Barr a proposito
di Kandinsky, e la rivolge alla pittura della scuola di New York (12).
Questa formula, soprattutto sul finire degli anni Cinquanta, conoscerà
un discreto successo anche in Italia, proprio per la presenza di termini
familiari che suggeriscono sia la componente espressionistica,
unanimemente condivisa dalla critica, sia quella astratta, che vorrebbe
circoscrivere un’area di interesse in realtà più problematica. Si ha
l’impressione, tuttavia, che la formula di Barr definisca con maggiore
incisività una pittura distante dall’humus europeo e che non riesca a
esprimere pienamente l’istanza di cesura con la tradizione modernista
che attraversa il vecchio continente."
Segue su https://www.unclosed.eu/rubriche/amnesia/amnesia-artisti-memorie-cancellazioni/322-lessico-informale-1948-1960.html |